E se imparassimo dalla Finlandia?
L’attacco mafioso, la scarsa prevenzione. Impariamo dalla Finlandia
La Sicilia va a fuoco. Nelle campagne si passa attraverso incendi che raggiungono strade e autostrade e arrivano a lambire allevamenti, case, aziende. Due giorni fa 5 focolai vicino agli stabilimenti Esso nel Siracusano hanno messo a rischio centinaia di vite e impianti industriali.
Per la prima volta dopo giorni di emergenza sono diminuite le richieste di aiuto al Centro aereo unificato della Protezione civile che coordina le azioni antincendio. Gli interventi si sono resi necessari in Calabria (5), Sicilia (4), Campania e Sardegna (3) e poi in Basilicata, Lazio, Liguria, Toscana e Umbria. L’impegno di 13 Canadair, 6 elicotteri dei Vigili del fuoco e 3 elicotteri della Difesa («abbiamo la flotta pubblica di Canadair più grande al mondo» ha detto il capo della polizia Franco Gabrielli) si è concentrato sulle situazioni più critiche consentendo di domare una decina di roghi. I Vigili del fuoco sono intervenuti 850 volte in tutta Italia: il record di roghi si è verificato in Sicilia (210). Migliora la situazione sul Vesuvio, mentre in Sardegna continua la caccia ai piromani. In Liguria, infine, Aurelia chiusa per roghi nel levante di Genova.
Ma gli incendi hanno anche attaccato zone di pregio ambientale come San Vito Lo Capo, Pantalica, i boschi sulle colline intorno a Messina, aumentando il rischio idrogeologico di quell’area. Secondo Legambiente sono 13.000 gli ettari di superficie andati in fumo nelle ultime settimane in Sicilia. Incendi in zone molto diverse, quindi, provocati con ogni probabilità in modo doloso. Infuria la polemica sui giornali, ma come su tutte le emergenze nazionali si privilegia la rissa di parte a un’analisi del fenomeno che dovrebbe essere la premessa necessaria per trovare una soluzione.
Gli incendi arrivano ogni estate con il caldo e non solo da noi. Ogni estate distruggono pezzi del territorio facendo danni che hanno conseguenze gravissime e durature sull’equilibrio ambientale. Qual è la causa? Si possono evitare? C’è qualcosa di speciale quest’anno nella diffusione del fenomeno incendiario? Per rispondere a queste domande è utile esaminare i fatti sul numero di incendi e la dimensione delle aree coinvolte.
I dati sull’Europa del Mediterraneo indicano che dal 1985 al 2011, contrariamente a quanto si dice, l’incidenza degli incendi è fortemente diminuita in tutti i Paesi, inclusa l’Italia. Questo è un dato significativo che emerge da una ricerca condotta da Marco Turco e i suoi colleghi e pubblicata su Plos One. Mostra che la prevenzione funziona, anche se le circostanze, per via del cambiamento climatico, sono più difficili. Da un’analisi disaggregata per regione emerge però che ci sono aree in cui è avvenuto il contrario e tra queste spicca la Sicilia, unica regione in Italia che presenta una forte contro-tendenza. L’anomalia del caso siciliano, quindi, non si può spiegare né col clima, né con l’organizzazione nazionale della pubblica amministrazione, ma con fattori specifici del territorio e della cosa pubblica regionale.
La ricerca scientifica indica che la causa principale della diffusione degli incendi è la combinazione della temperatura elevata e dell’aridità del suolo. Quest’ultima è funzione, oltre che del clima, dello stato di abbandono della terra dovuto a un’agricoltura non sostenibile e a una gestione inadeguata delle zone protette (parchi e riserve naturali), spesso minacciata da fenomeni di corruzione e infiltrazioni della criminalità organizzata.
La prevenzione è un fattore chiave per affrontare il problema e quest’ultima è legata a una gestione comprensiva del territorio. Occorre trovare una soluzione al problema dell’abbandono dei terreni agricoli, combattere corruzione e criminalità organizzata e sviluppare un’analisi e un sistema della gestione del rischio che si deve dotare di strumenti sofisticati. Gli incendi possono essere previsti. È possibile associare giornalmente un grado di rischio di incendio per ogni area che prenda in considerazione le condizioni meteo e i dati geolocalizzati che tengono conto del combustibile e delle condizioni del terreno (la Regione Piemonte, ad esempio, dal 2007 adotta questo sistema ed è tra le regioni in cui gli incendi nel lungo periodo sono progressivamente diminuiti in misura maggiore).
In base a questo indice di rischio è possibile prevedere pattugliamenti preventivi del territorio e azioni concrete volte ad abbattere il rischio. Il dibattito sugli operai forestali in Sicilia (in numero esorbitante rispetto alle altre regioni) alle dipendenze della Regione e assunti anche per azioni di prevenzione è ogni anno legato al loro rinnovo contrattuale. Tuttavia non si dibatte mai su come venga gestito il loro lavoro. Ci vuole un cervello unico che gestisca il personale di cui dispone la Regione e occorre sviluppare collaborazioni con le università e i centri di ricerca per organizzare la prevenzione in una visione d’insieme. Ma le competenze tecnico-scientifiche non bastano, vanno affiancate da strategie per fronteggiare la corruzione in seno all’amministrazione pubblica, la vulnerabilità a ricatti mafiosi e per garantire il rispetto delle regole.
E arriviamo quindi a questo mese di luglio. Nonostante i dati evidenziati prima, che indicano che ovunque, eccetto
che in Sicilia, gli incendi diminuiscono, sembra ormai chiaro che i fatti recenti segnino una discontinuità. Legambiente indica che gli incendi nel luglio 2017 sono stati simili come numero e aree danneggiate all’intero 2016 e questo è vero non solo per la Sicilia, ma anche per le altre regioni esposte alla criminalità organizzata: Calabria e Campania. Per la natura degli incendi e il modo coordinato in cui si sono manifestati, pare che ci sia un attacco massiccio alle istituzioni da parte di gruppi mafiosi, una sorta di prova di forza che avviene come risposta forse anche alle cose che sono state fatte per la difesa del territorio. Questa arroganza, se si combina con gli evidenti segni di malfunzionamento della prevenzione e della gestione delle emergenze, rende l’estate 2017 una vera e propria stagione di fuoco, una guerra tra legalità e illegalità che si incunea nell’inefficienza della pubblica amministrazione.
L’Ue contribuisce in modo generoso alla difesa del territorio nelle nostre regioni meridionali, ma evidentemente i soldi non sono la sola risposta al problema. Dovremmo riflettere a soluzioni creative anche a livello europeo che prevedano l’uso delle migliori pratiche nazionali e internazionali. Si potrebbe pensare ad accordi di assistenza bilaterale o a un programma europeo per la difesa dell’ambiente che preveda non soldi, ma assistenza tecnica o meglio un sistema di rotazione secondo cui, come si fa nell’organizzazione delle grandi aziende, i manager dell’ambiente finlandesi o tedeschi passino periodi nel Sud esportando la loro cultura della gestione pubblica mentre i siciliani si spostino nel Nord. Qualunque sia la soluzione, e immaginiamo che la nostra sia di difficile realizzazione, dobbiamo avere la consapevolezza che c’è bisogno di un’azione di forte discontinuità adeguata a una vera emergenza nazionale.