Corriere della Sera

Poche uscite

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frenata dall’intesa tra il re Mohamed VI del Marocco e la Spagna.

Così tutto, dalla Libia in mano a bande e scafisti, fluisce verso di noi. Di fatto stiamo diventando un gigantesco hotspot europeo, uno Stato cuscinetto con una caratteris­tica micidiale: è facile entrarci e arduo uscirne. A medio termine, questo assedio può diventare devastante per la nostra convivenza democratic­a: le espulsioni sono difficili, talvolta impossibil­i; dai nostri Centri d’accoglienz­a si dileblico guano centinaia di giovani migranti che vagano nel Paese senza lavoro né identità; la gente sta cominciand­o a spaventars­i, anche aizzata da chi cerca tornaconto elettorale. È un puzzle dai tanti tasselli, che proviamo a mettere insieme nella mappa analitica pubblicata qui sotto. È costellato di errori politici, certo, ma ha alla radice una spiegazion­e meno contingent­e: la nostra cronica debolezza al tavolo dei partner europei, derivata dalla sempre precaria condizione economica, dal debito pub- fuori controllo, dal Pil anemico, dalle etichette pittoresch­e di cui non siamo stati capaci di liberarci nonostante i toni truanti proclami di dignità di questo o quel governo di casa nostra.

Sicché ci dev’essere qualcosa di più e di diverso dietro certe nostre cantonate diplomatic­he e strategich­e. Lasciar passare il regolament­o di Dublino II del 2003 (governo Berlusconi) che inchioda il profugo al suolo di primo sbarco (quasi sempre l’Italia) o esultare per Triton (governo Renzi, ministro Alfano) che coinvolger­à pure altri partner nelle operazioni in mare ma riversa tutti i salvati nei nostri porti, beh, potrebbe non avere altra spiegazion­e se non la nostra struttural­e fragilità. Sì, le coste indifendib­ili ci penalizzan­o. Ma il vero guaio è che se alziamo la voce non veniamo mai presi troppo sul serio. Per dirne una: minacciare un taglio di contributi al bilancio Ue e chiedere al tempo stesso flessibili­tà a Bruxelles non è proprio il massimo dello spauracchi­o. E infatti a vanificare promesse come la relocation, il ricollocam­ento di 160 mila rifugiati quasi tutti concentrat­i da noi, basta un niet dei Paesi ex comunisti raccolti nel gruppo di Visegrad attorno al falco Orbán. Con realismo, il ministro Minniti prova infine a farci stringere accordi in Libia perché trattengan­o lì i flussi di disperati: se solo si sapesse chi comanda.

Quand’anche ci riuscissim­o, ci sarà poi da distrarsi alquanto sui sacri principi. Come a lungo facemmo con Gheddafi, che i migranti non li tratteneva in campi di margherite ma nei lager: e che adesso tanti rimpiangon­o, con un cinismo anche un po’ osceno.

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