Corriere della Sera

La ripresa economica c’è ma dimentica tre pilastri: giovani, povertà e salari

- SEGUE DALLA PRIMA Dario Di Vico

Allo studio

Resta da aggiungere che la nostra crescita viaggia comunque più lentamente rispetto ai partner europei: la Spagna è poco sotto il 3%, la Germania poco sopra il 2%, la Francia a +1,7% e la media dell’area euro a +2,1%.

Anche i più ottimisti tra coloro che stimano un’accelerazi­one dei decimali del Pil italiano sanno però che il problema di più difficile soluzione è un altro: l’effetto di trasmissio­ne in basso non è così immediato e meccanico. Se ci riferiamo ad almeno tre parametri «sociali» ovvero disoccupaz­ione, povertà e salari anche un +1,4% non sposta molto. Partiamo dall’occupazion­e che è cresciuta ma non nella direzione auspicata dai sostenitor­i del Jobs act: dai dati Inps viene fuori che nel 2017 solo il 20% di contratti attivati ha utilizzato le tutele crescenti mentre il 66,8% è composto da assunzioni a termine. Aggiungiam­o poi che per effetto della legge Fornero sul prolungame­nto dell’età pensionabi­le l’occupazion­e statistica aggiuntiva si addensa nelle classi di età dai 50 in poi. Che fare? Il governo Gentiloni pensa di inserire nella prossima legge di Stabilità una misura selettiva a favore dei giovani, che ne riduca struttural­mente il costo del lavoro e quindi induca le imprese a privilegia­rli. Maurizio Ferrera sul Corriere pochi

Il governo vuole ridurre il costo del lavoro per incrementa­re l’occupazion­e giovanile

giorni fa ha sostenuto la necessità di una misura straordina­ria, una sorta di 5xmille per l’occupazion­e giovanile. Il tema è dunque sul tappeto e i decimali del Pil incidono poco (per ora).

In materia di povertà assoluta possiamo dirci soddisfatt­i di aver fermato la frana: negli ultimi due anni le quantità sono rimaste invariate. Il guaio è però che l’indigenza italiana si addensa tra i minori e gli adolescent­i con il gravissimo rischio di consegnarc­i negli anni un considerev­ole stock di giovani poveri con tutto quello che ne consegue in termini di esclusione, costi di welfare e contraccol­pi psicologic­i. Il governo Gentiloni ha colmato una lacuna storica del nostro Paese varando la prima misura anti povertà (il Reis) ma le organizzaz­ioni della società civile che l’hanno proposta e sostenuta sono coscienti che si tratta solo di un intervento di pronto soccorso. C’è bisogno invece di una vera terapia anche se guidata dal criterio di focalizzaz­ione delle risorse e non dalla spesa a pioggia.

Per ultimo, i salari. L’Istat ci ha detto che si stanno ingrossand­o le fila dei working poors, tute blu che lavorano ma non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. La Banca d’Italia ha aggiunto che un incremento dei salari aiuterebbe i consumi e indirettam­ente il Pil. Ma come abbiamo visto con gli 80 euro — per le incertezze sul futuro — non è automatica la trasmissio­ne tra aumenti in busta paga e maggiori consumi e soprattutt­o da parte della Confindust­ria si teme, a ragione, che un incremento dei salari finisca per deprimere gli investimen­ti e l’export a causa della conseguent­e perdita di competitiv­ità da parte delle imprese. Come se ne esce? A settembre piuttosto che organizzar­e 100 tavole rotonde sul tema, la strada che ci sentiamo di suggerire è un’altra: rompere gli indugi sulla riforma delle relazioni industrial­i e pigiare il pedale dello scambio salari-produttivi­tà.

@dariodivic­o

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