Conti in rosso. Cassa integrazione al Nazareno
In autunno la misura a rotazione, poi un piano di tagli
Costi fissi del personale, ormai insostenibili, oltre al peso della martellante campagna per il Sì al referendum. Il risultato è il primo bilancio in profondo rosso dell’era Renzi: 9 milioni il passivo registrato dal Pd nel 2016. Così la crisi occupazionale, quella che ogni giorno costringe decine di fabbriche a chiudere, sfonda per la prima volta il portone del Nazareno, quartier generale dei democratici. Qui, in un palazzo del Seicento che ospitò la più antica scuola di Roma, lavorano i 184 dipendenti del Pd. E tutti, a rotazione, tra settembre e ottobre, finiranno in cassa integrazione. Una extrema ratio che Francesco Bonifazi, tesoriere nazionale del partito, era riuscito a rimandare più volte, in accordo con il segretario Matteo Renzi. Ma adesso, per evitare il rischio di un pericoloso collasso finanziario, il piano lacrime e sangue non è più posticipabile.
La prossima settimana il tesoriere incontrerà i sindacati per illustrare la situazione economica e le misure necessarie per riequilibrare i conti. Prima mettendo una grossa toppa con la cassa integrazione, per gestire l’emergenza. E poi con un piano di tagli sui costi fissi e sulla riduzione del personale, il vero problema strutturale del bilancio del Pd.
Al Nazareno sono lontani i fasti del tesoretto da 150 milioni del 2008 con Veltroni, frutto della fusione dei patrimoni di Ds e Margherita. In appena due anni, però, all’epoca in cui il segretario era Franceschini, il partito si ritrovò con una voragine di circa 50 milioni. È appunto la conseguenza dei «costi strutturali», con troppi dirigenti e funzionari che, oltre agli stipendi dei normali impiegati, incassano oltre 100 mila euro l’anno. E sono stati riscontrati pure numerosi casi di assenteismo, che tre anni fa costrinsero lo stesso Bonifazi a introdurre l’obbligo di timbrare il cartellino. Benefici frutto dei tempi andati, quando il finanziamento pubblico era un’assicurazione sulla vita. Oggi è tutto diverso: si punta molto sul due per mille (nel 2016 ha fruttato al Pd circa 6,5 milioni) e lo stesso tesoriere Bonifazi, che negli ultimi tre anni ha tagliato i costi dell’80% su affitti e fornitori, trasmette su Facebook un video in cui chiede agli elettori dem una mano attraverso la dichiarazione dei redditi. A peggiorare il quadro ci si sono messi pure i parlamentari, sempre di più, che non rispettano il dovere verso il proprio partito: i contributi degli eletti sono infatti crollati dai 10 milioni del 2015 ai 6,6 del 2016.
Negli ultimi tre anni, molte delle spese vive del Pd erano state coperte dalla Fondazione Open, forziere e braccio operativo dell’attività politica di Renzi, ma dopo che quest’ultimo ha perso Palazzo Chigi, i grandi finanziatori hanno chiuso i rubinetti. Un altro problema non da poco, specie se si considera che adesso ci saranno da sostenere i rilevanti costi della campagna elettorale, con Renzi che intende battere a tappeto tutta l’Italia.