Sul referendum per dividere Venezia il duello di fuoco tra Lega e azzurri
No di Brugnaro. Zaia: giusto farlo. Appello del Patriarca: la città resti unita
«Paroni (padroni) a casa nostra»? Dipende, perché ciò che vale per la Regione Veneto, con il referendum indetto dal governatore leghista Luca Zaia il 22 ottobre per ottenere maggiore autonomia dallo Stato centrale, non è altrettanto certo per la città simbolo, Venezia. In Laguna, anzi, all’ombra della consultazione popolare promossa da un comitato di cittadini per cercare di strappare quella separazione da Mestre già respinta da tre referendum dal 1979 ad oggi (un quarto è fallito per mancanza del quorum) si gioca una partita delicata nel centrodestra tra Forza Italia e Lega.
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, indipendente ma vicino agli azzurri, vede come il fumo negli occhi la chiamata alle urne dei cittadini. E, mentre la Regione ha dato l’ok e ora deve solo decidere la data (il 22 ottobre con l’altro referendum o in altra occasione), il Comune ha presentato ricorso al Tar. «Venezia è città metropolitana, in base alla legge Delrio l’unico titolato a poter chiedere la divisione è il Consiglio comunale» ha spiegato il primo cittadino. Un rilievo formale che, al contrario, non convince Zaia: «Quando il popolo chiede, deve esprimersi».
Ma non è questione che possa essere confinata nel recinto delle leggi e dei cavilli. Perché in casa leghista ricordano che nel 2015, quando si trattò di provare a vincere il ballottaggio (riuscendovi), Brugnaro ottenne il sostegno del Carroccio in cambio del via libera al referendum. Il sindaco oggi nega che ci sia mai stato alcun patto, i leghisti sventolano documenti che sostengono il contrario e lo accusano di tradimento. Sia come sia, Brugnaro un paio di settimane fa si è visto costretto a revocare le deleghe all’assessora al Commercio Francesca Da Villa dopo che questa era stata espulsa dalla Lega per non aver osteggiato, secondo i voleri del movimento, la decisione della giunta di presentare ricorso al Tar. Un sacrificio per tenere a galla la barca. Che, tuttavia, vivrà la fase referendaria come una traversata in un mare in tempesta.
L’eventuale vittoria del Sì, per quanto si tratti di referendum consultivo, spingerebbe politicamente verso uno scioglimento del Comune di Venezia (il sindaco non potrebbe essere alla guida di due amministrazioni in contemporanea). Il rischio, allora, è che la politica faccia premio sul merito delle ragioni per cui è meglio stare uniti o separare le sorti. Il Movimento 5 Stelle vuole la consultazione, il Pd è alla finestra ma gode per i dissidi interni al centrodestra. Se nel segreto delle urne, per una eterogenesi dei fini, tutti dovessero convergere sul Sì, Forza Italia (non a caso anche il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, ha cercato di mettersi di traverso) e Brugnaro potrebbero ritrovarsi all’angolo.
Il sindaco invita a stare al merito: «La separazione sarebbe un disastro sociale ed economico. È in discussione il futuro della città, non il mio. E comunque le decisioni le prendono i cittadini alle elezioni, non con il referendum». Non si schiera, invece, Zaia: «Non farò campagna né per il Sì né per il No. Penso che sia più importante che vada molta gente al voto». Ma ieri sera, inaugurando il Ponte votivo per la festa del Redentore, il Patriarca Francesco Moraglia ha detto una frase («come società civile dobbiamo rifuggire ogni forma di separazione») che a molti è parsa un altolà al referendum.