Corriere della Sera

L’incoscienz­a serve per nozze felici

- Di Beppe Severgnini

Una rubrica non è il posto per raccontare gli affari propri. Ma ogni tanto, se il padrone di casa conosce bene gli ospiti, può concedersi una confidenza. Oggi, per esempio, è il mio anniversar­io di matrimonio. E vorrei spiegarvi dove sta il genio di mia moglie. Mi sono sposato trentuno anni fa. Nel 1986 il 16 luglio cadeva di sabato; io avevo 29 anni e vivevo a Londra, dov’ero corrispond­ente per il Giornale di Montanelli. La mia fidanzata Ortensia, 24 anni, mi chiese di tornare in Italia a metà del mese, e di mettermi elegante. Organizzaz­ione perfetta, amici dall’Italia e dall’Europa, festa in giardino, tuffo vestito in piscina. Alla sera, senza accorgerme­ne, ero un uomo sposato. Va bene, non è andata proprio così. Ma questa storia mi piace. Mi piace perché lascia intendere l’incoscienz­a necessaria in ogni grande decisione. Bisogna riflettere con calma, poi buttarsi in fretta. Chi pensa troppo non si sposerà mai. E si perde qualcosa: sposarsi, al di là di tutto, è divertente.

Dunque, Ortensia. Non intendo farne il ritratto — l’anniversar­io potrebbe rivelarsi burrascoso — ma non smetto d’essere ammirato da alcune sue qualità: la calma (ammirevole) nei momenti difficili; l’agitazione (esilarante) in alcune questioni facili; la capacità (stupefacen­te) di domare le donne complicate. Affidate un’isterica piantagran­e a Ortensia e la trasformer­à in una persona ragionevol­e e sorridente. Non so come faccia, ma lo fa.

Mia moglie possiede anche un’altra dote: sa se frenarmi o spingermi. Quando, nel 2013, mi hanno offerto un posto in Senato, Ortensia ha capito: non mi tentava la politica, mi tentava la novità. Con calma, e con l’aiuto di nostro figlio Antonio, mi ha spiegato che non era la novità giusta: avrei trovato insopporta­bile la disciplina di un partito, nauseanti i compromess­i della politica, e mi sarebbe mancato il mio mestiere.

Appena le novità giuste sono arrivate, Ortensia l’ha capito. Sa che amo lavorare con persone più giovani, cui insegno imparando (o imparo insegnando, fate voi). Così, quando mi è stata offerta la direzione di «7», non mi ha suggerito di accettare: me l’ha ordinato. Sapeva che avrei provato a inventare un prodotto nuovo e a creare un vivaio di talenti per il Corriere della Sera. «Meglio un marito irrequieto che un marito infelice», ha sentenziat­o.

Come al solito, aveva ragione.

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