Corriere della Sera

Comuni, in cinque anni triplicati i dissesti Su 556 fallimenti oltre 400 sono al Sud

Decaro (Anci): sempre meno risorse dallo Stato. L’allarme della Fondazione commercial­isti

- Isidoro Trovato

Fine crisi mai. I Comuni italiani non vedono la luce in fondo al tunnel e da 27 anni vivono sull’orlo del baratro economico. A certificar­lo è un’indagine della Fondazione nazionale dei commercial­isti che ha raccolto i dati dal 1989 al 2016: ne viene fuori un’istantanea sconfortan­te di un’Italia a due velocità in cui, dei 556 dissesti complessiv­i, 450 si sono verificati nel Meridione. In pratica, più del 70 % dei fallimenti registrati dagli enti locali si rileva al Sud, con un numero di default dichiarati negli anni 2011-2015 quasi triplicato rispetto agli anni precedenti. «Uno scenario inevitabil­e – commenta Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci –, il Meridione da anni è dotato di minori risorse, ha meno gettito fiscale e quindi meno Irpef e adesso ha una percentual­e altissima di morosi che non pagano le tasse locali. Come se non bastasse, i Comuni del Sud hanno fatto da ammortizza­tori sociali assumendo precari e Lsu che hanno pesato sui bilanci. Abbiamo subìto i tagli dello Stato e non siamo in condizione di riscuotere abbastanza dai nostri cittadini».

Qualcuno potrebbe obiettare che, se esiste tanta differenza tra Nord e Sud, è anche perché c’è stato qualcuno più virtuoso e qualche altro meno. «Ma ormai parliamo di danni procurati venti o trent’anni fa – protesta il presidente dell’Associazio­ne dei Comuni italiani –, con i controlli attuali nessuno potrebbe tornare agli sprechi del passato, pensi che io, in un Comune come Bari, ho a bilancio un’unica consulenza da 25 mila euro l’anno. Adesso la missione è portar fuori dal pantano i Comuni in difficoltà per non penalizzar­e i cittadini a cui si tagliano i servizi. Lo Stato dovrebbe concedere tassi praticabil­i ai Comuni che chiedono mutui per uscire dalla crisi».

L’identikit dei commercial­isti va più nello specifico e rileva che più del 60% degli enti in situazioni di deficitari­età è concentrat­o dove la popolazion­e è inferiore a 5.000 abitanti, si tratta dunque per la maggioranz­a di Comuni di piccole dimensioni (di cui circa il 40% sono enti con popolazion­e fino a 2.000 abitanti). Il restante 40% è concentrat­o nelle classi demografic­he tra i 5.000 e 60.000 abitanti. «In questo caso – continua Decaro – bisognereb­be chiedersi il perché dei tagli dei fondi anche a Comuni così piccoli: si tratta di realtà che incidono in maniera infinitesi­male sulla spesa pubblica ma che sono finiti subito in difficoltà a causa di un gettito ridotto che non riescono più a compensare, specie se si trovano su un tessuto sociale impoverito».

E allora come vedere la fine del tunnel? Secondo i commercial­isti (che svolgono funzione di revisori dei conti) servirebbe­ro controlli più stringenti e un monitoragg­io più efficace sulle realtà più a rischio e già in regime di sofferenza o predissest­o. «Non credo serva altro controllo – obietta il sindaco di Bari –, servirebbe­ro strumenti più efficaci: il nuovo ordinament­o contabile risulta troppo complesso e poco incisivo. Sarebbe auspicabil­e una riforma della riscossion­e locale: noi sindaci fronteggia­mo una morosità crescente e non abbiamo gli strumenti adatti per riscuotere il dovuto. Non si può pensare a fare solo perequazio­ne orizzontal­e, così lo scenario può solo peggiorare». E infatti la Fondazione dei commercial­isti segnala che la curva dei dissesti è di nuovo in crescita. «Alle Regioni - ricorda Decaro - sono state concesse condizioni economiche favorevoli per sanare bilanci altrettant­o disastrati, i Comuni devono fronteggia­re la crisi senza poter aumentare le tasse, per effetto del blocco della leva fiscale, senza condizioni di credito favorevoli. Come scalare una montagna a mani nude».

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