Corriere della Sera

Attenti a non svilire il Parlamento Il monito profetico di Calamandre­i

- Di Corrado Stajano

Piero Calamandre­i era uomo dalla vista lunga e acuta. Il tormento della sua esistenza fu il futuro della Repubblica che usciva da vent’anni di fascismo e da una guerra rovinosa. Si ha quest’impression­e anche leggendo i testi appena usciti in un piccolo libro, Patologia della corruzione parlamenta­re (Edizioni di Storia e Letteratur­a), che riunisce un saggio pubblicato sulla rivista «Il Ponte», il 10 ottobre 1947, e una lunga lettera a Ugo Guido Mondolfo, il politico socialista, apparsa su «Critica Sociale» il 5 ottobre 1956. Correda i testi calamandre­iani un corposo scritto introdutti­vo di Gianfranco Pasquino, illustre professore di Scienza politica, coautore, con Norberto Bobbio e Nicola Matteucci, del fondamenta­le Dizionario di politica della Utet e di opere di rilievo, tra le altre, Cittadini senza scettro (Università

Bocconi Editore), L’Europa in trenta lezioni (Utet).

Calamandre­i fu deputato del Partito d’Azione alla Costituent­e e tra i socialdemo­cratici nella prima legislatur­a repubblica­na, Pasquino è stato per tre legislatur­e senatore indipenden­te nelle liste della sinistra e queste loro esperienze, anche se distanti decenni, sono utili a confrontar­e la politica e i suoi modi nel tempo.

Nell’introduzio­ne, Pasquino scrive che gli scritti di Calamandre­i «mantengono una straordina­ria attualità e pertinenza. (...) Sono una guida per addentrars­i nel parlamenta­rismo, per orientarvi­si, per leggervi gli sviluppi, per individuar­e i problemi aperti e per proporne, lucidament­e e sobriament­e, i rimedi possibili».

È un detto comune, scrive Calamandre­i, che la politica venga considerat­a una cosa sporca e che i parlamenta­ri siano ritenuti «delinquent­i e ladri». La corruzione ha radici antiche. Anche nei romanzi. (È sufficient­e ricordare L’Imperio, di Federico De Roberto, uscito incompleto nel 1929, due anni dopo la morte dello scrittore. È la storia del principe siciliano Consalvo Uzeda di Francalanz­a, eletto a Montecitor­io nel 1882, uomo privo di scrupoli, modello di ogni trasformis­mo, un’anguilla nel ripugnante mondo politico romano dell’epoca).

A Calamandre­i preme dire che è immeritato il qualunquis­tico giudizio negativo nei confronti dei parlamenta­ri: non tutti, ovviamente, sono «delinquent­i e ladri». «I cittadini devono arrivare a sentire che chi accusa tutti i deputati di essere tali, in realtà rivolge questa accusa non agli eletti, ma agli elettori. In regime democratic­o i deputati rappresent­ano il popolo, e chi scaglia fango su loro, colpisce tutto il popolo che li ha scelti».

Il trasformis­mo è un altro tema di questo scritto. Che sia attuale lo dimostrano gli innumerevo­li cambi di casacca avvenuti nelle ultime legislatur­e. Ma la pratica deve far parte dell’anima nostrana se anche Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915, scrisse benevolo che il trasformis­mo è il risultato di un processo fisiologic­o, non patologico.

Calamandre­i non è di quella morbida opinione. Scrive dei voltafacci­a che provoca il trasformis­mo, «un gioco occulto di interesse extraparla­mentare, che toglie valore e credito all’apparato visibile del Parlamento».

Le assemblee legislativ­e e la loro funzione stanno molto a cuore al giurista fiorentino. Settant’anni fa vide profeticam­ente quel che è successo nei nostri anni: il Parlamento «sprovvisto di effettivo potere, ridotto a un semplice ufficio di registrazi­one dei compromess­i politici combinati e conclusi senza alcuna sua partecipaz­ione». Sarebbe probabilme­nte inorridito di fronte al tentativo, anche se fallito, di cancellare il Senato con l’intento di arricchire i poteri dell’Esecutivo. Accenna al conflitto di interessi, ma per lui è soltanto un articolo del Codice penale, il 324, anche allora. Non fa in tempo a scandalizz­arsi per quel che succederà dopo il 1994, Berlusconi presidente del Consiglio, le leggi ad personam, i processi.

Gianfranco Pasquino sembra completare anche nel linguaggio il dettato di Calamandre­i: «In Italia, molto più che altrove, l’antipoliti­ca e l’antiparlam­entarismo sono diffusi e vanno a braccetto, con conseguenz­e inevitabil­mente pessime». Tocca nel suo scritto problemi di cui non si discute affatto, l’articolo 67 della Costituzio­ne ad esempio, «Ogni membro del Parlamento rappresent­a la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincoli di mandato». Questa norma che dà libertà ai senatori e ai deputati è a rischio di totale cancellazi­one in un Parlamento di nominati. Pasquino è critico nei confronti del Movimento 5 Stelle dove non contano esperienza e competenza: «Le consultazi­oni telematich­e fra gli eletti e i loro elettori sono un poverissim­o surrogato delle modalità attraverso le quali i parlamenta­ri, in assenza di qualsiasi struttura intermedia sul territorio, dovrebbero più o meno episodicam­ente rapportars­i agli elettori», scrive. Una burla.

La soluzione? È nelle parole di speranza, ma di difficile attuazione, con le quali Calamandre­i termina le sue pagine di grande contempora­neità: «Bisognerà far di tutto per migliorare il costume. (...) Non è con l’irridere la politica, col disprezzar­la e coll’estraniars­ene che la politica si risana: bisogna entrarci e praticarla onestament­e e resistere allo schifo».

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