Il credo rock degli U2
L’urlo di Bono: «In questi momenti di paura conserviamo la fede, la pace e la compassione»
Uniti si vince, in nome del rock e degli U2. È la lezione più forte di questo «The Joshua Tree Tour», celebrazione dei trent’anni dell’album che trasformò i quattro ragazzi di Dublino in rock’n’roll star e che ieri (si replica stasera) ha trasformato lo stadio Olimpico di Roma in un’arena rock. Una folla di 58 mila persone ha accolto Bono & co. nel primo dei due appuntamenti romani, gli unici in Italia.
La politica, la musica, le donne. Benvenuti nella festa blindatissima degli U2: strade chiuse intorno allo stadio, lunghissime file (che però scorrono velocemente) davanti ai metal detector, poliziotti che controllano dentro e fuori l’Olimpico. La serata è aperta da Noel Gallagher con i suoi High Flying Birds: il principe del brit pop riempiva gli stadi quando con l’irrequieto fratello Liam si esibiva sotto il segno degli Oasis, dopo la separazione è diventato, anche se di lusso, soltanto una «spalla» per le vere rockstar. Che salgono sul palco poco dopo le 21: Bono Vox (57 anni) e i suoi compagni di viaggio The Edge, (chitarra), Adam Clayton (basso), e Larry Mullen jr (batteria).
L’acustica è terribile ma l’avgio vio è comunque da brivido. Si comincia con una manciata di canzoni incise prima del 1987: «Sunday Bloody Sunday», con lo stadio che si tinge di rosso, «New Year’s Day», la folla con le braccia in alto e Bono che incita: «Voglio vederti Roma». Poi, ringrazia il pubblico «per averci fatto tornare qui, dove è sepolto il poeta Keats, uno dei miei eroi». Intona «Bad» e la mischia con «Heroes», omag- a David Bowie, poi tutto lo stadio si scatena su «Pride». «In un momento di paura — dice Bono — conserviamo la compassione, la fede, la pace».
Ma il cuore del live batte su «The Joshua Tree» eseguito per intero. L’album è percorso dal sacro fuoco dell’impegno, con una precisa destinazione musicale: l’America, patria del mito ma anche, ieri come oggi, di un sogno andato in frantumi. Blues, country, gospel uniti alla potenza melodica delle canzoni e alle radici degli U2 (fra post punk e folk irlandese) fanno da sfondo a denunce sociali, storie e invettive.
Il maxischermo allungato alle spalle del quartetto irlandese rimanda la sagoma nera dell’albero che ha dato il titolo all’album capolavoro da 25 milioni di copie vendute, seguita dai video firmati da Anton Corbijn. Un racconto per immagini in bianco e nero o con colori psichedelici che ritrae l’America rurale, i paesaggi desertici tagliati in due dalle highway.
Si parte con una potente infilata di brani: «Where the Streets Have No Name» e «I Still Haven’t Found What I’m Looking For», prima di «With or Without You». Sono passati trent’anni, ma i tempi non sono cambiati. Perché l’America desolata, avida e imperialista dei tempi di Ronald Reagan non sembra molto distante da quella di Donald Trump. Ecco che prima di intonare «Exit» viene proiettato lo spezzone di un vecchio film western in cui uno dei protagonisti dice: «Sei un bugiardo Trump».
C’è da scommettere che al 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America sarà dedicato più di un passaggio del nuovo album, «Songs of Experience», visto che l’uscita del disco è stata posticipata dopo il risultato delle ultime presidenziali Usa per permettere alla band di rimetterci mano.
Due ore di concerto dove la fa da padrone la presenza carismatica di Bono che nella terza parte dello show, quella dedicata agli U2 post 1987 vira verso le donne.
Così mentre la band suona «Ultraviolet» scorrono le immagini delle protagoniste di secoli di battaglie per i diritti civili e l’uguaglianza delle donne, da Rosa Parks alle Pussy Riot, da Malala alle suffragette. «Miss Sarajevo», ribattezzata «Miss Syria (Sarajevo)», mantiene la voce di Luciano Pavarotti, ma viene lanciata da un filmato girato nel campo profughi di Zaatari, in Giordania. Omaia è il nome della giovane ritratta nel video che racconta: «Sono siriana e da grande voglio diventare un avvocato per difendere i diritti di tutte le persone che vivono qui».
Prima del concerto, incontro ravvicinato negli spogliatoi della Roma con Bono, Adam Clayton e The Edge. «La differenza fra gli altri concerti del tour e questi italiani? Il pubblico, molto più caloroso». E vanno via, per iniziare lo show.