La favola di Basile diventa un dramma E la smania del lifting finisce sotto accusa
Due vecchie centenarie contorte nelle membra doloranti: sono il libro mastro della bruttezza. Due donne che di femminile non hanno più nulla, sono talmente ridotte allo stremo di una sessualità archiviata, che sembrano uomini. E proprio da due attori, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, sono interpretate nello spettacolo di Emma Dante, La scortecata, liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile e presentato al Festival dei Due Mondi. La vicenda racconta di un re innamorato della bella voce di una donna e del cui corpo l’unica parte che conosce è il mignolo: lo può ammirare, baciare attraverso il pertugio di una porta chiusa. Ma dopo aver consumato con la sconosciuta un amplesso al buio, scopre la verità e la scaraventa dalla finestra. La poveretta non muore e viene tramutata da una fata in una giovane bellissima: sposa il re e vissero felici e contenti. Non è questo l’epilogo scelto dalla Dante, che prende spunto dalla vicenda antica per puntare il dito contro gli eccessi della chirurgia plastica, vizio delle donne di voler apparire più giovani e belle. La «scortecata» del titolo è colei che, per strapparsi di dosso la vecchiaia, chiede alla sorella di spellarla con un coltello. Un finale drammatico per un racconto rielaborato, con acida ironia, dalla regista palermitana che sa confrontarsi con la lingua partenopea. Non ci sono fate buone nel basso napoletano ove è ambientata la storia, ma solo la disperazione di chi non accetta il trascorrere del tempo. Le due vecchie megere, sognando di spacciarsi per «guagliuncelle», appaiono patetiche e maldestre nella loro ostinata intenzione di evocare un incantesimo che non può avvenire.