Così i radiologi «cuociono» i noduli con le microonde
Si entra nel fegato (o in altri organi) con un ago che, servendosi di questa energia, può distruggere tumori e metastasi di dimensioni contenute
n ago incandescente miracoloso, che “scioglie” i tumori velocemente e senza intoppi. Dietrofront: forse c’è qualche rischio che viene taciuto e la punta dell’ago, per esempio, può sfilarsi e provocare danni? Dalle stelle alle stalle, in un’altalena fra entusiasmi e timori: dove sta la verità nell’uso delle microonde per la termoablazione del cancro?
Come spesso accade, sta nel mezzo: i grossi rischi paventati da alcuni non ci sono, ma non è neppure la soluzione perfetta per qualunque paziente ed è importante valutare grandezza, numero e localizzazione dei noduli tumorali per individuare i candidati più adatti a questa tecnica. Stando agli studi più recenti sul tema, per esempio, alcune proprietà del tessuto incidono sull’esito e devono essere tenute presenti quando si pianifica un’intervento; o, ancora, nel caso delle metastasi epatiche da tumore al colon i risultati dipendono dalla localizzazione del cancro primario e anche di questo occorre tener conto.
Le microonde sono arrivate in clinica da circa dieci anni e sono perciò una tecnica più nuova rispetto all’ablazione con radiofrequenze, ma il bilancio è positivo se, come sottolineano tutte le revisioni dei dati ottenuti finora, si scelgono i candidati giusti su cui intervenire.
Vietato insomma credere di avere la soluzione per tutti i mali, ma anche temere eventi avversi che la pratica su migliaia e migliaia di casi in tutto il mondo ha dimostrato essere rarissimi, come spiega Luigi Solbiati, direttore di Radiologia interventistica e Oncologica all’Istituto Clinico Humanitas, di Milano: «Il tasso di complicanze della termoablazione con microonde è molto più basso di qualsiasi procedura chirurgica, si tratta di una tecnologia sicura e affidabile. Quando, qualche mese fa, sono emerse preoccupazioni circa la possibilità di difetti negli aghi che portano le microonde nei noduli, abbiamo realizzato un’indagine sull’esperienza degli ultimi dieci anni dei centri italiani con maggior volume di interventi, valutando gli esiti di oltre 9.600 pazienti: ebbene, le complicanze dovute a imperfezioni dei macchinari sono risultate pari a zero. All’inizio, anni fa, sono capitati casi in cui la punta dell’ago per le microonde (in materiale ceramico biocompatibile diverso dal resto della sonda, ndr) si è “sfilata” in uscita o è rimasta nel nodulo, ma questo non ha mai pregiudicato né il risultato del trattamento, né la salute del paziente. La percentuale di complicanze con le microonde è analoga a quella delle radiofrequenze: la mortalità si aggira sullo 0.01 per cento, molto inferiore quindi a qualsiasi intervento chirurgico standard, mentre gli eventi avversi che richiedono una terapia non superano l’1.5 per cento e sono quasi sempre minimi».
A seguito di alcuni dubbi sulla sicurezza dei macchinari, nei mesi scorsi ad alcuni strumenti era stato ritirato il marchio CE per effettuare ulteriori verifiche; tutti i test confermano la mancanza di pericoli reali per i pazienti, per cui poche settimane fa il Ministero della Salute ha riconfermato la compatibilità con il marchio CE per gli apparecchi “sotto accusa”.
Nessun timore quindi per una tecnologia che ha caratteristiche diverse dalle meno recenti radiofrequenze, tali da aprire possibilità di intervento impensate fino a una decina d’anni fa. «Con le radiofrequenze nel nodulo da trattare non si superano i 90-95 gradi, le microonde arrivano a 120-140 gradi — sottolinea Solbiati —. La temperatura più elevata consente di intervenire su aree più ampie in tempi più brevi, ma anche di eliminare circa un centimetro di tessuto sano attorno al tumore, riducendo drasticamente la probabilità di una ricaduta che poi sarebbe più complessa da trattare: così il tasso di recidive per noduli dai 2 ai 4.5 centimetri, per esempio, con le microonde è inferiore rispetto alle radiofrequenze. Non solo: le microonde “seguono” meglio il volume delle masse che generalmente è sferico, perché i margini e microonde si stanno rivelando un “bisturi al calore” perfetto per situazioni difficili. Lo dimostra il caso pilota pubblicato sugli Annals of Surgical Oncology da Umberto Cillo, dell’Università di Padova, che ha usato le onde in laparoscopia per suddividere il fegato colpito da tumore e consentire la rigenerazione rapida dell’area sana residua, separandola in maniera netta da quella malata senza un intervento a cielo aperto. «Le microonde dell’area trattata sono più regolari e rotondeggianti. Infine, il calore delle radiofrequenze può essere “portato via” dal sangue se ci sono vasi abbastanza grandi vicino al nodulo, riducendo l’efficacia della termoablazione nelle aree più vicine ai vasi stessi; con le microonde, più potenti, questo non accade e ciò riduce il tasso di recidive anche nelle lesioni più grandi».
Le microonde vengono usate sul fegato, per epatocarcinomi e metastasi epatiche da altri tumori, e danno ottimi risultati anche sul rene per noduli inferiori ai 3-3.5 centimetri, sul polmone in caso di masse inferiori ai 3 centimetri e non troppo numerose, nelle metastasi ossee per ridurre il dolore e affrontare meglio la radioterapia.
In circa otto anni sono state condotte quasi 20mila procedure in tutta Italia, ma non esiste un registro perché in alcuni casi non c’è neppure una codifica regionale specifica per queste tecnologie.
«Oggi in tutte le Regioni si trovano strutture che offrono l’ablazione con microonde, dai grossi centri che trattano centinaia di casi a quelli piccoli che spesso prendono la strumentazione quando hanno radunato un buon numero di pazienti, per poi restituirla dopo gli interventi La procedura di termoablazione con microonde consiste nel portare sotto guida ecografica all’interno del nodulo una sonda, dalla cui punta si fanno irradiare le onde modulandone temperatura e durata; il calore prodotto distrugge le cellule del tumore, eliminando la massa Le microonde sono onde elettromagnetiche a 2.400 megahertz Le microonde sono arrivate nella clinica da circa dieci anni e il bilancio è positivo coagulano, sterilizzano e creano una efficace barriera per il tumore, che così non può espandersi oltre — spiega Cillo —. In una decina di giorni si ha una buona rigenerazione della parte sana con un intervento meno invasivo della chirurgia di epatoresezione standard: la laparoscopia infatti riduce molto la mortalità e rende operabili anche casi più complessi. Dopo il primo, stiamo per pubblicare i dati su altri 10 pazienti».