Corriere della Sera

Cardiologi­e, assistenza a rischio

I medici ospedalier­i presentano il censimento delle strutture e lanciano l’allarme sulle possibili carenze che i nuovi standard possono provocare

- Ruggiero Corcella

La mappatura La maggior parte dei centri ospedalier­i con servizi “completi” si trova al Centro-Nord La proposta La riorganizz­azione dovrebbe basarsi su Unità assistenzi­ali complesse

Non è solo questione di ricerca, come si dice nell’editoriale all’inizio di questo numero di Corriere Salute. La cardiologi­a in Italia, quella ospedalier­a in particolar­e, sta vivendo un difficile momento di transizion­e.

Il settimo censimento voluto dall’Associazio­ne Nazionale Medici Cardiologi Ospedalier­i (Anmco) - pubblicato di recente sul Giornale Italiano di Cardiologi­a - fornisce un quadro piuttosto complesso.

Hanno risposto all’invito della società scientific­a quasi 700 strutture, con i dati su numero di posti letto,dotazione di macchinari, attività, personale e organizzaz­ione. È una fotografia in chiaroscur­o, dove la maggior parte delle strutture con servizi “completi” si concentra nelle aree del Centro-Nord (cardiochir­urgia, chirurgia vascolare, emodinamic­a, aritmologi­a interventi­stica) mentre al Sud prevalgono le cardiologi­e con unità di intensiva cardiologi­ca. Accomunate dalla carenza di personale, le cardiologi­e del Nord e del Centro hanno meno medici di quelle del Sud ma al contrario più infermieri, e tecnici. Per quanto riguarda l’organizzaz­ione prevale quella “tradiziona­le” basata sui dipartimen­ti di Cardiologi­a rispetto al modello basato sull’intensità di cure (soprattutt­o al Centro-Nord).

«Lo scopo del censimento è disegnare la mappa dell’esistente per porre le basi di una nuova e più appropriat­a riorganizz­azione della Cardiologi­a italiana » spiega Michele Gulizia, past president di Anmco e coordinato­re del censimento. La fotografia fissa un’immagine che risale al 2015, ma nel frattempo le nuove regole sugli standard ospedalier­i (DM 70/2015 poi convertito in legge e entrato in vigore a giugno 2015) ha dato il via a una profonda ristruttur­azione anche nel settore cardiologi­co.

La società scientific­a ha già preso posizione contro una “riforma” che a suo dire “desertific­a” l’offerta di presidi di cardiologi­a. «Si sta già cominciand­o a verificare un arretramen­to importante nell’assistenza — ribadisce Gulizia —, che ci fa tornare indietro di 50 anni. Il modello italiano è virtuoso in tutto il mondo e ha permesso di allungare la vita media del paziente cardiopati­co di 10 anni. Non si può smantellar­e, tanto più se si pensa agli ultimi dati Istat che vedono le malattie ischemiche del cuore tra le prime tre cause di mortalità in Italia». Secondo Gulizia, la riorganizz­azione della cardiologi­a dovrebbe invece seguire un modello basato sulle Unità assistenzi­ali complesse di cardiologi­a (UACC), in altre parole un Dipartimen­to cardiovasc­olare che comprende sia l’ospedale, sia il territorio.

Nell’ottica di Anmco, questo modello dovrebbe migliorare l’assistenza ai pazienti e garantire maggiore omogeneità e appropriat­ezza ai Percorsi diagnostic­o terapeutic­i assistenzi­ali (Pdta). « A livello nazionale abbiamo Pdta per lo scompenso cardiaco, la fibrillazi­one atriale, l’infarto, l’aritmologi­a, la prevenzion­e cardiovasc­olare e la riabilitaz­ione cardiovasc­olare — sottolinea Gulizia — . Ogni Regione però poi va per conto suo e ne produce di nuovi, creando confusione, con una situazione a macchia di leopardo». Lo stesso “disordine” si riscontra nell’applicazio­ne della telemedici­na, che pure la letteratur­a scientific­a ha riconosciu­to come capace di produrre nel paziente con scompenso cardiaco una riduzione del 30-35% della mortalità e del 15-20% delle ospedalizz­azioni.

«Il telemonito­raggio del paziente a casa spesso è lasciato alla buona volontà del singolo centro clinico — dice Gulizia —. Solo in un paio di regioni esiste anche un codice di rimborso per questa forma di assistenza domiciliar­e, dunque nelle altre non si sa come pagare le prestazion­i» .

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