Cardiologie, assistenza a rischio
I medici ospedalieri presentano il censimento delle strutture e lanciano l’allarme sulle possibili carenze che i nuovi standard possono provocare
La mappatura La maggior parte dei centri ospedalieri con servizi “completi” si trova al Centro-Nord La proposta La riorganizzazione dovrebbe basarsi su Unità assistenziali complesse
Non è solo questione di ricerca, come si dice nell’editoriale all’inizio di questo numero di Corriere Salute. La cardiologia in Italia, quella ospedaliera in particolare, sta vivendo un difficile momento di transizione.
Il settimo censimento voluto dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) - pubblicato di recente sul Giornale Italiano di Cardiologia - fornisce un quadro piuttosto complesso.
Hanno risposto all’invito della società scientifica quasi 700 strutture, con i dati su numero di posti letto,dotazione di macchinari, attività, personale e organizzazione. È una fotografia in chiaroscuro, dove la maggior parte delle strutture con servizi “completi” si concentra nelle aree del Centro-Nord (cardiochirurgia, chirurgia vascolare, emodinamica, aritmologia interventistica) mentre al Sud prevalgono le cardiologie con unità di intensiva cardiologica. Accomunate dalla carenza di personale, le cardiologie del Nord e del Centro hanno meno medici di quelle del Sud ma al contrario più infermieri, e tecnici. Per quanto riguarda l’organizzazione prevale quella “tradizionale” basata sui dipartimenti di Cardiologia rispetto al modello basato sull’intensità di cure (soprattutto al Centro-Nord).
«Lo scopo del censimento è disegnare la mappa dell’esistente per porre le basi di una nuova e più appropriata riorganizzazione della Cardiologia italiana » spiega Michele Gulizia, past president di Anmco e coordinatore del censimento. La fotografia fissa un’immagine che risale al 2015, ma nel frattempo le nuove regole sugli standard ospedalieri (DM 70/2015 poi convertito in legge e entrato in vigore a giugno 2015) ha dato il via a una profonda ristrutturazione anche nel settore cardiologico.
La società scientifica ha già preso posizione contro una “riforma” che a suo dire “desertifica” l’offerta di presidi di cardiologia. «Si sta già cominciando a verificare un arretramento importante nell’assistenza — ribadisce Gulizia —, che ci fa tornare indietro di 50 anni. Il modello italiano è virtuoso in tutto il mondo e ha permesso di allungare la vita media del paziente cardiopatico di 10 anni. Non si può smantellare, tanto più se si pensa agli ultimi dati Istat che vedono le malattie ischemiche del cuore tra le prime tre cause di mortalità in Italia». Secondo Gulizia, la riorganizzazione della cardiologia dovrebbe invece seguire un modello basato sulle Unità assistenziali complesse di cardiologia (UACC), in altre parole un Dipartimento cardiovascolare che comprende sia l’ospedale, sia il territorio.
Nell’ottica di Anmco, questo modello dovrebbe migliorare l’assistenza ai pazienti e garantire maggiore omogeneità e appropriatezza ai Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta). « A livello nazionale abbiamo Pdta per lo scompenso cardiaco, la fibrillazione atriale, l’infarto, l’aritmologia, la prevenzione cardiovascolare e la riabilitazione cardiovascolare — sottolinea Gulizia — . Ogni Regione però poi va per conto suo e ne produce di nuovi, creando confusione, con una situazione a macchia di leopardo». Lo stesso “disordine” si riscontra nell’applicazione della telemedicina, che pure la letteratura scientifica ha riconosciuto come capace di produrre nel paziente con scompenso cardiaco una riduzione del 30-35% della mortalità e del 15-20% delle ospedalizzazioni.
«Il telemonitoraggio del paziente a casa spesso è lasciato alla buona volontà del singolo centro clinico — dice Gulizia —. Solo in un paio di regioni esiste anche un codice di rimborso per questa forma di assistenza domiciliare, dunque nelle altre non si sa come pagare le prestazioni» .