IL VOLTO DELLA CINA IGNORATO
Sugli scali investiti 20 miliardi di euro in un anno: così cambiano le rotte commerciali
Sul palcoscenico Han e Sophia discutono del futuro del genere umano. «Entro 20 anni i robot potranno fare tutti i lavori dell’uomo» dice Han, espressione spavalda sotto un cappello a falde larghe. «Ma gli uomini sono più riflessivi dei robot e hanno una loro capacità di correggersi» ribatte garbatamente Sophia, con un visetto che ricorda vagamente Audrey Hepburn. Han e Sophia sono due robot: umanoidi creati dal genio di Ben Goertzel, un brasiliano con radici per metà statunitensi per metà est europee. La sua azienda, Hanson Robotics, ha sede in Texas, ma lui lo spettacolo della tecnologia, mercoledì scorso, l’ha messo in scena in Cina, a Hong Kong. E il baricentro dei suoi interessi si sposta sempre più verso l’Asia dove le tecnologie digitali, a cominciare dall’intelligenza artificiale, progrediscono con una rapidità impressionante.
Quanto, poi, al campo dei «quantum computers», quelli di nuova generazione basati sui principi della meccanica quantistica che utilizzano particelle microscopiche come i fotoni anziché il sistema binario dei bit tradizionali e che, in teoria, potrebbero diventare cento milioni di volte più veloci dei sistemi elettronici attuali, la Cina ha fatto passi da gigante. Ha appena effettuato la prima trasmissione quantistica da un satellite e qualche giorno fa ha presentato un impianto sperimentale di nuova generazione: la Hafei Machine, considerata dai tecnici all’avanguardia.
La Cina ha speso venti miliardi di euro solo nell’ultimo anno per acquisire il controllo integrale o parziale di porti stranieri lungo le rotte della sua nuova Via della Seta. I conti li ha fatti la banca d’investimenti londinese Grisons Peak e li ha riferiti il Financial Times.
Gli approdi sui quali hanno investito recentemente i cinesi sono nove. Quattro in Malesia e uno in Indonesia per completare il percorso marittimo che attraverso l’Oceano Indiano arriva nel Mediterraneo. Nel grande progetto della nuova Via della Seta c’è una seconda rotta per l’Europa, che i pianificatori cinesi hanno tracciato a Nord, lungo l’Artico che sta diventando più navigabile a causa del riscaldamento terrestre che fa sciogliere i ghiacci.
E lungo questo passaggio nel 2016 sono stati contati investimenti di Pechino in altri quattro porti: Arcangelo in Russia, poi Lituania, Norvegia e Islanda.
Negli anni precedenti il gioco del domino commerciale cinese aveva già coperto con la bandiera rossa (sarebbe più preciso dire con montagne di renminbi) il porto pachistano di Gwadar, nello Sri Lanka lo scalo di Hambantota e in Grecia il Pireo. L’Italia ha offerto di aprire Trieste e Genova ai container cinesi, come terminali della via europea.
La Marina militare cinese ha appena inaugurato la sua prima base all’estero, a Gibuti sulla costa orientale dell’Africa. Le navi da guerra a Gibuti servono a proteggere gli interessi commerciali di Pechino, cresciuti enormemente; ma anche ad appoggiare le missioni internazionali di pace in Africa alle quali i cinesi stanno partecipando sempre più attivamente.
Quando qualcuno avanza il sospetto che la base di Gibuti
serva anche per mire di nuova potenza militare globale, a Pechino replicano che nello stesso porto sono presenti le forze navali di Stati Uniti, Francia e anche del pacifista Giappone.
Tornando ai porti commerciali, per giudicare se le decine di miliardi di investimenti cinesi saranno state un successo o uno spreco in zone anche instabili del mondo bisognerà aspettare anni. Ma un’osservazione si può fare subito: la nuova Via della Seta lanciata da Pechino è l’unica idea nuova in questo periodo di spinte neo-protezioniste.
Surriscaldamento Le merci navigheranno a nord della Russia, dove le acque sono diventate più navigabili