La ragionevolezza che vince
Rimandare a settembre l’approvazione della legge sullo Ius soli è un gesto di responsabilità da parte del presidente del Consiglio e del suo governo. Il provvedimento rischiava di essere il parafulmine delle tensioni nella maggioranza.
Poteva trasformarsi perfino nell’ultimo pretesto per una crisi, e precipitare l’Italia verso le elezioni anticipate. E avrebbe sicuramente propagato fiamme polemiche sull’«invasione» dei migranti, proprio mentre si sta cercando un argine strategico contro gli sbarchi. Il modo in cui ieri sera, in quattro righe, Paolo Gentiloni ha archiviato la pratica, è uno sforzo di diplomazia, esercitato in primo luogo verso il suo Pd: quello che con Matteo Renzi sembrava pronto a tutto pur di approvarla subito. Ma il problema è proprio questo: il sì al Senato non era affatto scontato. E il solo rischio di uno scivolone mentre il governo conduce una trattativa spinosa con Bruxelles sulla manovra economica autunnale, sapeva di azzardo. Gentiloni si è limitato a dire quello che molti pensano: la legge è «giusta», ma «non ci sono le condizioni» per farla passare adesso. È consapevole che gli arrivi dei migranti gonfiano la propaganda xenofoba, oltre ad alimentare le preoccupazioni di un’opinione pubblica disorientata, in una miscela politicamente tossica. C’è dunque, nella decisione, anche una remora che si può definire elettorale. Ma conta forse di più un Senato diviso in tribù senza capi, di fatto incontrollabile. Guardare in faccia le «difficoltà emerse in alcuni settori della maggioranza» ha fatto ritenere più opportuno a Gentiloni che il provvedimento «sulla cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia» slitti.
Si tratta di un buon segnale. Indica che le priorità del governo alla fine prevalgono su quelle del partito; e che un Pd in agitazione, e tentato da continui strappi, si rende conto di non poter tirare troppo la corda. È vero che Renzi seguirà le decisioni del premier, e che in questa circostanza gli è stato a fianco. Bisogna prenderne atto, e registrare che fino a pochi giorni fa il vertice dem sembrava pretendere il contrario: e cioè che Gentiloni seguisse le decisioni del segretario del Pd. Per fortuna non lo ha fatto, perché il contesto è cambiato. Il governo italiano non vuole ritrovarsi isolato in Europa e assediato all’interno. Il fatto che adesso vengano additati come vincitori di questa contesa simbolica sullo ius soli i centristi di Angelino Alfano e il centrodestra, dipende dalla pervicacia con la quale il Pd ha cavalcato il «sì». Una posizione più meditata gli avrebbe permesso di rivendicare la ragionevolezza di Gentiloni come un proprio successo, e non una sconfitta.