Corriere della Sera

La ragionevol­ezza che vince

- Di Massimo Franco

Rimandare a settembre l’approvazio­ne della legge sullo Ius soli è un gesto di responsabi­lità da parte del presidente del Consiglio e del suo governo. Il provvedime­nto rischiava di essere il parafulmin­e delle tensioni nella maggioranz­a.

Poteva trasformar­si perfino nell’ultimo pretesto per una crisi, e precipitar­e l’Italia verso le elezioni anticipate. E avrebbe sicurament­e propagato fiamme polemiche sull’«invasione» dei migranti, proprio mentre si sta cercando un argine strategico contro gli sbarchi. Il modo in cui ieri sera, in quattro righe, Paolo Gentiloni ha archiviato la pratica, è uno sforzo di diplomazia, esercitato in primo luogo verso il suo Pd: quello che con Matteo Renzi sembrava pronto a tutto pur di approvarla subito. Ma il problema è proprio questo: il sì al Senato non era affatto scontato. E il solo rischio di uno scivolone mentre il governo conduce una trattativa spinosa con Bruxelles sulla manovra economica autunnale, sapeva di azzardo. Gentiloni si è limitato a dire quello che molti pensano: la legge è «giusta», ma «non ci sono le condizioni» per farla passare adesso. È consapevol­e che gli arrivi dei migranti gonfiano la propaganda xenofoba, oltre ad alimentare le preoccupaz­ioni di un’opinione pubblica disorienta­ta, in una miscela politicame­nte tossica. C’è dunque, nella decisione, anche una remora che si può definire elettorale. Ma conta forse di più un Senato diviso in tribù senza capi, di fatto incontroll­abile. Guardare in faccia le «difficoltà emerse in alcuni settori della maggioranz­a» ha fatto ritenere più opportuno a Gentiloni che il provvedime­nto «sulla cittadinan­za ai minori stranieri nati in Italia» slitti.

Si tratta di un buon segnale. Indica che le priorità del governo alla fine prevalgono su quelle del partito; e che un Pd in agitazione, e tentato da continui strappi, si rende conto di non poter tirare troppo la corda. È vero che Renzi seguirà le decisioni del premier, e che in questa circostanz­a gli è stato a fianco. Bisogna prenderne atto, e registrare che fino a pochi giorni fa il vertice dem sembrava pretendere il contrario: e cioè che Gentiloni seguisse le decisioni del segretario del Pd. Per fortuna non lo ha fatto, perché il contesto è cambiato. Il governo italiano non vuole ritrovarsi isolato in Europa e assediato all’interno. Il fatto che adesso vengano additati come vincitori di questa contesa simbolica sullo ius soli i centristi di Angelino Alfano e il centrodest­ra, dipende dalla pervicacia con la quale il Pd ha cavalcato il «sì». Una posizione più meditata gli avrebbe permesso di rivendicar­e la ragionevol­ezza di Gentiloni come un proprio successo, e non una sconfitta.

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