Corriere della Sera

La killer tedesca e la beffa del dna

GIALLI D’EUROPA La più imponente indagine nella storia recente della Germania per arrestare un’assassina seriale che lascia il suo dna ovunque Un fantasma capace di prendersi gioco pure della «prova regina»

- Di Paolo Beltramin

La più imponente indagine nella storia recente della Germania per arrestare una killer seriale che lascia il dna ovunque. Un fantasma che si prende gioco pure della «prova regina».

Maggio 1993. Lieselotte Schlenger è una pensionata 62enne di Idar-Oberstein, centro della Renania famoso per la chiesetta incastonat­a tra le rocce e la lavorazion­e delle pietre preziose. Ama i gatti e le torte, ne ha appena fatte due al limone e si sta rilassando in poltrona. Qualche ora più tardi, dopo aver bussato ripetutame­nte alla sua porta, una vicina chiama la polizia: Lieselotte è morta, strangolat­a con il filo usato per legare i fiori che ora giacciono sparsi sul tavolo.

Marzo 2001, Friburgo, sempre in Germania ma al confine con la Svizzera. Joseph Walzenbach, antiquario 61enne, viene ritrovato senza vita in casa. È stato strangolat­o con uno spago da giardino. Dall’abitazione mancano solo 200 euro.

Ottobre 2001, Gerolstein, di nuovo in Renania. Un ragazzino di 7 anni si punge con una siringa in un parco giochi. La mamma, terrorizza­ta all’idea che possa aver contratto l’Hiv, la fa analizzare. Il piccolo non è in pericolo, ma i risultati, inviati alla banca dati centrale della polizia, conducono a una scoperta sconcertan­te: il dna sull’ago, usato per iniettarsi in vena una dose di eroina, è lo stesso ritrovato sul bordo di una tazzina da tè di porcellana a casa della signora Schlenger e sulla maniglia della porta del signor Walzenbach. Ed è un dna femminile. Di una tossica, evidenteme­nte, che uccide le sue vittime durante i furti. La killer, silente dal ’93, si è risvegliat­a.

Pochi giorni dopo un camion viene rapinato dalle parti di Mainz. Sul selciato, un biscotto smangiucch­iato: la saliva restituisc­e ancora lo stesso dna. Nei rapporti gli investigat­ori la chiamano freddament­e Uwp, «Unbekannte weibliche person» («persona sconosciut­a di sesso femminile»), tra loro l’hanno soprannomi­nata «la donna senza volto». Ci perdono la testa e il sonno.

Una taglia sul fantasma

Quel codice genetico senza identità rispunta ovunque nel giro di 400 chilometri: in una rapina poco distante da Francofort­e a Capodanno del 2003, in un’altra a Karlsruhe nel 2005, l’anno successivo supera i confini tedeschi e appare su una pistola giocattolo usata in un’altra rapina a Besançon, in Francia. E ancora in almeno una dozzina di furti con scasso fino all’Austria. Uno dei casi più bizzarri è a Worms, nel 2005. Come ci è finito l’ormai famoso dna su uno dei proiettili usati in una resa dei conti tra Rom?

Il 25 aprile 2007 la donna senza volto torna a uccidere, senza alcun motivo apparente. La poliziotta Michèle Kiesewette­r, 22 anni, e il suo compagno di pattuglia stanno consumando il loro pranzo al sacco in un parcheggio di Heilbronn, cittadina del Baden Württember­g, quando all’improvviso qualcuno sale sul sedile posteriore della macchina e spara senza dare loro nemmeno il tempo di mettere mano alla pistola. Michèle muore sul colpo. Quando si risveglia dal coma, tre settimane dopo, il ragazzo non ricorderà nulla. Nell’auto, le tracce di dna della donna senza nome, che da quel momento sarà il fantasma di Heilbronn. Al funerale i compagni, in uniforme verde, sfilano con un ritratto di Michèle sorridente. La caccia alla killer fa un salto di qualità: è ormai la più grande indagine criminale nella storia tedesca recente, con una ricompensa di 300 mila euro per chiunque fornisca informazio­ni.

Nel team investigat­ivo, come racconta un reportage del Guardian nel 2008, ci sono oltre cento tra poliziotti e procurator­i, sostenuti dal laboratori­o di analisi del Bka, l’equivalent­e tedesco dell’Fbi. Da tutta Europa arrivano segnalazio­ni e rinforzi. Nei momenti più disperati, gli inquirenti tenteranno persino la carta degli indovini.

Possibile che la donna senza volto cambi sempre complici? Quando si trovano tracce di altro materiale genetico non è mai due volte della stessa persona. Tamponi di saliva vengono prelevati a centinaia di donne senza casa, tossiche o con precedenti penali nel sud della Germania e della Francia, ma anche in Belgio e in Italia. Senza alcun risultato.

Il profilo del mostro

Il capo della polizia Erwin Hetger non nasconde la frustrazio­ne: «Non abbiamo un ritratto, un identikit, una descrizion­e, nemmeno un profilo criminale coerente». A tentare di fornirne uno, ai giornali, è il noto psichiatra viennese Kurt Kletzer: «Quella donna sa proiettare un’aura di normalità pur essendo esattament­e il contrario. È costretta a uccidere per sfamare la sua inclinazio­ne». Lo psichiatra immagina una infanzia difficile: «Forse una bambina adottata o orfana, che è stata abusata».

Gennaio 2008. Da un fiume nei pressi di Heppenheim, in Assia, affiorano i cadaveri di tre georgiani trafficant­i in auto usate. Tra i sospettati un iracheno e un somalo. Sulla macchina del primo, il sangue di una delle vittime. E il dna del fantasma. I due fermati si accusano l’un l’altro, ma entrambi giurano di non sapere nulla della donna senza volto.

Finalmente però, grazie al testimone di un furto in appartamen­to, arriva un identikit. E lascia gli inquirenti di stucco: è un uomo alto un metro e 70, con il pizzetto. I poliziotti sono in imbarazzo: potrebbe essere lei mascherata, dicono, o un complice. Oppure un transessua­le.

La caccia è chiusa

La svolta vera arriva nel marzo 2009, sedici anni dopo l’inizio di questa storia. Nel tentativo di stabilire l’identità di un corpo carbonizza­to in Francia, vengono riesaminat­e le impronte digitali lasciate sui documenti da un richiedent­e asilo. Ed eccolo di nuovo, il dna del fantasma. Ma le impronte appartengo­no a un uomo arrivato da poco in Europa; per di più, a un secondo prelievo, raccolto con un diverso tampone, il codice genetico non viene più rilevato. La soluzione del mistero è a un tratto lampante: dietro la donna senza volto, in realtà, si nasconde un caso di materiale contaminat­o.

Il fantasma ha finalmente un nome e un volto, ma non sono quelli di un serial killer. È l’ignara impiegata di una fabbrica di cotton fioc, che aveva contaminat­o con il suo dna decine di tamponi, destinati alle polizie scientific­he di mezza Europa. «Avevano un doppio incarto, pensavamo che fossero la Mercedes dei tamponi», dirà alla Bild un investigat­ore incredulo. Diciotto milioni di euro spesi, migliaia di ore di straordina­ri, e per tutti i delitti si torna al punto di partenza.

La prova scientific­a si prende una parziale rivincita due anni dopo. Il 4 novembre 2011 la polizia insegue due persone in fuga dopo una rapina. Rifugiatis­i in un camper, piuttosto che arrendersi Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos preferisco­no suicidarsi. Poi le forze dell’ordine arrivano alla loro complice, Beata Zschape. Nel suo appartamen­to, gli investigat­ori trovano la conferma che il trio di neonazisti è responsabi­le dei cosiddetti omicidi del kebab, l’esecuzione a sangue freddo di dieci immigrati nell’arco di 13 anni. E della morte di Michèle Kiesewette­r. Nell’armadio c’è una tuta con una piccola macchia di sangue: il dna è quello della giovane poliziotta di Heilbronn. Almeno lei, ha avuto giustizia.

Non abbiamo nulla, né un ritratto né un profilo criminale coerente

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