Le parole inaccettabili sulla pena di morte
Ascoltare e riascoltare le frasi pronunciate nelle ultime ore dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan provoca due reazioni, entrambe indignate: una imposta dall’orrore, l’altra dall’estremo imbarazzo.
Il sultano, prigioniero di se stesso e incapace di dare un minimo di dignità al suo ruolo, dice che bisogna tagliare la testa ai traditori. Un linguaggio che appartiene ai tagliagole dell’Isis, e non al leader di un Paese che continua a definirsi democrazia. Il pesante richiamo alla pena di morte, e alla sua immediata applicazione, non è più la conseguenza della rigidità di un regime autocratico, ma un attacco frontale a chi crede nelle regole del vivere civile. Se si accettano, senza reagire, dichiarazioni simili, vuol dire che si è perduto il senso del limite.
L’estremo imbarazzo è quello delle cancellerie occidentali, a cominciare da quell’Unione Europea che fino a pochi anni fa poteva essere l’approdo di un Paese importante, delicato e strategico come la Turchia. È evidente che Ankara ha imposto alla Ue un pesante ricatto sui profughi in fuga, ospitandone alcuni milioni e minacciando di lasciarli invadere il nostro continente. La cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha in casa un’importante comunità turca, ha accettato di non lasciarsi turbare dalle decisioni di Erdogan. La linea conciliante è stata seguita da altri Paesi, ma adesso il troppo è troppo. Si può chiudere un occhio sull’arroganza, ma quando si arriva, per eccitare la folla dei sostenitori, a invocare una reazione da tagliagole, a inneggiare alla pena di morte, ad arrestare centinaia di migliaia di oppositori, a esporre alla logica più forcaiola magistrati, poliziotti, diplomatici e giornalisti, accusando questi ultimi di essere terroristi, beh, questo è assolutamente inaccettabile.
È vero che l’ingresso di Ankara nella Ue non è più in agenda, ma non si possono accettare ricatti liberticidi. Un grande Paese, come la Turchia, ridotto così da un leader che pare prigioniero della follia, fa davvero paura.
Tagliagole Il presidente usa un linguaggio che appartiene ai tagliagole dell’Isis