Corriere della Sera

Se Google paga la ricerca per influenzar­e i politici (e noi)

- Di Gianluca Mercuri

Milioni di dollari per finanziare scienziati ed esperti. Fantastico vero? Non proprio: l’obiettivo della munificenz­a di Google era influenzar­e l’opinione pubblica e i legislator­i di Europa e Usa, sostiene il watchdog americano Campaign for Accountabi­lity (CfA). Tra il 2005 e il 2017 — rivela un report — il gigante del tech ha pagato accademici delle migliori università — Stanford, Berkeley, Harvard, Mit, Oxford tra le altre — perché firmassero ricerche dalle conclusion­i favorevoli ai suoi interessi, in termini di legislazio­ne antitrust e norme anti pirateria. I professoro­ni sono stati remunerati direttamen­te da Google nella metà dei casi, e attraverso gruppi o istituzion­i sostenuti da «Big G» negli altri. I finanziame­nti — dai 5 mila ai 400 mila dollari — sono stati tenuti nascosti nel 66% dei casi. Il Wall Street Journal cita un ex insider di Google, secondo cui la prassi della compagnia è preparare una lista di progetti con tanto di «titoli di lavoro, estratti e budget», e poi mettersi a caccia di esperti disposti a portarli a termine secondo la falsariga decisa a tavolino a Mountain View. Leslie Miller, director of public policy di Google, ha subito postato sul blog della casa il solito bla bla libertario («Il nostro sostegno ai principi di un Internet aperto è condiviso da molti accademici e istituzion­i con una lunga storia nella ricerca su copyright, brevetti e libertà d’espression­e») per poi accusare la Cfa di essere al soldo di Oracle. Di certo, queste pratiche di creazione del consenso ricordano quelle delle multinazio­nali del tabacco, del petrolio o della farmaceuti­ca. E la cosa, data la pervasivit­à di Google, non è rassicuran­te.

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