Corriere della Sera

SERVONO POLITICHE EUROPEE PER RIDURRE LE PARTENZE

- Di Luciano Violante

Le grandi migrazioni per ragioni economiche costituisc­ono nella nostra epoca un fenomeno struttural­e e permanente, non accidental­e. Perciò soluzioni che si limitino a governarne gli effetti senza incidere sulle cause sono destinate al fallimento. Concentrar­si prevalente­mente sui soccorsi in mare e sugli arrivi, come se si trattasse di eventi imprevisti è sbagliato. Occorre certamente occuparsi dei soccorsi e degli arrivi. Ma occorre anche occuparsi delle partenze, tanto dalle coste quanto dai villaggi e dalle città del centro e del Nord Africa. Le partenze e i percorsi sono gestiti e controllat­i da ben oliate organizzaz­ioni criminali, che approfitta­no della quasi certezza del soccorso in mare e della ospitalità, legale o clandestin­a, in Italia.

Anche il ruolo delle navi delle Ong va valutato alla luce della particolar­e natura del fenomeno.

I barconi sono messi in acqua da trafficant­i senza scrupoli che contano proprio sulla presenza di quelle navi a poche miglia di distanza per portare a termine il loro affare con rischi minori e utili maggiori. Le navi delle Ong, mosse certamente da nobili intenti, finiscono quindi per trasformar­si in un fattore che agevola lo sfruttamen­to di esseri umani. I trafficant­i non sono costretti ad arrivare

sino alle coste italiane; è sufficient­e che arrivino dove c’è una di queste navi: spetterà poi agli equipaggi delle Ong raccoglier­e i migranti e far terminare il loro viaggio in Italia. Perciò pensare di affrontare questo problema soltanto con il criterio dell’accoglienz­a è una generosa illusione.

Nel 2016 e nella prima metà del 2017 sono arrivati in Italia circa 170.000 migranti; come se fosse sorta dal nulla una nuova Reggio Emilia. E molte altre Reggio Emilia sono nate

Consapevol­ezza Va trovato il modo giusto di «aiutarli a casa loro», come ha detto mons. Parolin

negli ultimi dieci anni. Anche se tutti i Paesi europei fossero d’accordo nell’accogliere quote di migranti, poiché il flusso è continuo, nell’arco di alcuni anni quelle quote sarebbero sature e il problema si riproporre­bbe in termini ancora più drammatici. Alla lunga si aprirebber­o conflitti sociali non governabil­i sia per la drammatici­tà intrinseca, sia per la utilizzazi­one che ne farebbero le componenti razziste delle società europee.

In conclusion­e, ferma la necessità civile di accogliere comunque i perseguita­ti, nessuna politica dell’accoglienz­a può reggere a lungo senza un intervento che incida sulle cause delle migrazioni. Bisogna vietare il traffico, fermare e condannare i trafficant­i; ma questo non servirà ad arresta- re il flusso. L’Europa intera deve offrire un’alternativ­a sostenibil­e, nuove credibili prospettiv­e economiche e sociali alle comunità locali in stretto contatto con i sindaci, come hanno recentemen­te proposto il ministro Marco Minniti e il suo omologo tedesco De Maizière.

E’ su questo terreno che l’Unione Europea può farsi portatrice di politiche specifiche ed efficaci. «Aiutarli a casa loro», come ha detto recentemen­te il segretario di Stato del Vaticano, monsignor Parolin, può essere una soluzione valida. In questo caso non sarebbe frutto di razzismo, ma del tentativo di promuovere politiche più consapevol­i dei caratteri struttural­i delle migrazioni contempora­nee.

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