SERVONO POLITICHE EUROPEE PER RIDURRE LE PARTENZE
Le grandi migrazioni per ragioni economiche costituiscono nella nostra epoca un fenomeno strutturale e permanente, non accidentale. Perciò soluzioni che si limitino a governarne gli effetti senza incidere sulle cause sono destinate al fallimento. Concentrarsi prevalentemente sui soccorsi in mare e sugli arrivi, come se si trattasse di eventi imprevisti è sbagliato. Occorre certamente occuparsi dei soccorsi e degli arrivi. Ma occorre anche occuparsi delle partenze, tanto dalle coste quanto dai villaggi e dalle città del centro e del Nord Africa. Le partenze e i percorsi sono gestiti e controllati da ben oliate organizzazioni criminali, che approfittano della quasi certezza del soccorso in mare e della ospitalità, legale o clandestina, in Italia.
Anche il ruolo delle navi delle Ong va valutato alla luce della particolare natura del fenomeno.
I barconi sono messi in acqua da trafficanti senza scrupoli che contano proprio sulla presenza di quelle navi a poche miglia di distanza per portare a termine il loro affare con rischi minori e utili maggiori. Le navi delle Ong, mosse certamente da nobili intenti, finiscono quindi per trasformarsi in un fattore che agevola lo sfruttamento di esseri umani. I trafficanti non sono costretti ad arrivare
sino alle coste italiane; è sufficiente che arrivino dove c’è una di queste navi: spetterà poi agli equipaggi delle Ong raccogliere i migranti e far terminare il loro viaggio in Italia. Perciò pensare di affrontare questo problema soltanto con il criterio dell’accoglienza è una generosa illusione.
Nel 2016 e nella prima metà del 2017 sono arrivati in Italia circa 170.000 migranti; come se fosse sorta dal nulla una nuova Reggio Emilia. E molte altre Reggio Emilia sono nate
Consapevolezza Va trovato il modo giusto di «aiutarli a casa loro», come ha detto mons. Parolin
negli ultimi dieci anni. Anche se tutti i Paesi europei fossero d’accordo nell’accogliere quote di migranti, poiché il flusso è continuo, nell’arco di alcuni anni quelle quote sarebbero sature e il problema si riproporrebbe in termini ancora più drammatici. Alla lunga si aprirebbero conflitti sociali non governabili sia per la drammaticità intrinseca, sia per la utilizzazione che ne farebbero le componenti razziste delle società europee.
In conclusione, ferma la necessità civile di accogliere comunque i perseguitati, nessuna politica dell’accoglienza può reggere a lungo senza un intervento che incida sulle cause delle migrazioni. Bisogna vietare il traffico, fermare e condannare i trafficanti; ma questo non servirà ad arresta- re il flusso. L’Europa intera deve offrire un’alternativa sostenibile, nuove credibili prospettive economiche e sociali alle comunità locali in stretto contatto con i sindaci, come hanno recentemente proposto il ministro Marco Minniti e il suo omologo tedesco De Maizière.
E’ su questo terreno che l’Unione Europea può farsi portatrice di politiche specifiche ed efficaci. «Aiutarli a casa loro», come ha detto recentemente il segretario di Stato del Vaticano, monsignor Parolin, può essere una soluzione valida. In questo caso non sarebbe frutto di razzismo, ma del tentativo di promuovere politiche più consapevoli dei caratteri strutturali delle migrazioni contemporanee.