Le lacrime ipocrite per Liu Xiaobo
Quante lacrime insincere per la morte di Liu Xiaobo, il dissidente cinese a cui non è stato dato il permesso di curarsi dal cancro che lo stava divorando, il Premio Nobel il cui discorso è stato letto da Liv Ullman davanti a una sedia vuota, il perseguitato la cui compagna è stata rinchiusa per anni agli arresti domiciliari solo perché era la compagna di un nemico del regime. La triste vicenda di Liu Xiaobo, in realtà, racconta l’indifferenza di tutte le democrazie che hanno oramai abbandonato la bandiera dei diritti umani, che si spaventano anche solo se un governo occidentale incontra il Dalai Lama, autorità spirituale del Tibet martirizzato dalla Cina con il massacro di centinaia di migliaia di tibetani ammazzati, monasteri distrutti, una cultura devastata dalla prepotenza imperiale della Pechino maoista e postmaoista. Stavolta ci voltiamo dall’altra parte, facciamo finta di non vedere le prigioni stracolme di dissidenti non per ragioni geopolitiche, come avviene con i nostri silenzi sulle carneficine mostruose attuate dall’«alleato» Assad nella lotta contro l’Isis. Stavolta non c’è nemmeno una motivazione ideologica all’autocensura fanatica. Come i filo-cinesi che si inebriavano per la Rivoluzione Culturale dimenticando chi era finito nei laogai, i campi di concentramento costruiti dal regime. Stavolta c’è solo una ragione economica, la necessità di non disturbare commerci e scambi finanziari con dettagli fastidiosi come il rispetto dei diritti umani fondamentali, delle libertà più elementari. Stavolta, con la soggezione nei confronti della Cina autoritaria, viene alla luce tutta la nostra ipocrisia quando blateriamo di universalità dei diritti, del valore irrinunciabile della libertà e del rispetto delle persone. Irrinunciabile neanche per idea: abbiamo giù rinunciato. Abbiamo già lasciato solo Liu Xiaobo. Abbiamo già ceduto su princìpi che si dicevano, ma non era vero, non negoziabili. La morte del dissidente cinese non dovrebbe commuoverci, dovrebbe farci un po’ vergognare. Solo un po’, prima di tornare alla normalità dei princìpi declamati con solennità ma mai praticati con coerenza. Prima di dimenticare Liu Xiaobo e la sua compagna malata e chi sta in galera solo per aver detto una parola invisa al regime. Nell’indifferenza del mondo, e non parliamo dell’Europa, come al solito tremebonda e inesistente.