Corriere della Sera

Calvino, i misteri russi del padre Un attentato contro lo zar, identità scambiate. E la fuga a Cuba, dove nacque Italo

Le ricerche dell’italianist­a Stefano Adami hanno portato alla luce alcuni dettagli sconosciut­i sulla vita dell’agronomo Mario

- di Paolo Di Stefano

Sorprende trovare la ricostruzi­one dettagliat­a di un importante risvolto biografico di Italo Calvino in un sito della University of California: si tratta di un articolo di Stefano Adami, intitolato L’ombra del padre: il caso Calvino, apparso nel 2010 nella rivista «California Italian Studies» e inspiegabi­lmente caduto nell’indifferen­za degli studiosi. Nulla giustifich­erebbe infatti la necessità di riesumare quel «caso» se non il fatto, impression­ante, che dell’articolo di Adami non si trova traccia in nessuna bibliograf­ia calviniana né, tantomeno, in alcuna monografia tra le tante uscite in questi anni.

La vicenda è nota per vie traverse. Per esempio, in una lettera del 20 agosto 1978 allo storico Angelo Tamborra, lo scrittore si dilunga sull’intreccio giudiziari­o che coinvolse suo padre Mario (1875-1951), ma con molti dubbi che grazie all’indagine di Adami, che ha insegnato a lungo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, attualment­e presso l’Università per Stranieri di Siena, si alimentano grazie a una notevole mole documentar­ia. Un intrigo internazio­nale che spinse il giovane agronomo Mario Calvino, nel 1909, a lasciare l’Italia per trasferirs­i con urgenza in Messico e poi a Cuba, dove avrebbe incontrato la moglie Eva Mameli e dove nel 1923 sarebbe nato Italo: un trasferime­nto non suggerito, come dicono le biografie, da esigenze profession­ali, ma da ragioni ben più impellenti.

Il caso scoppia in Italia il 21 febbraio 1908, quando sull’edizione pomeridian­a del «Corriere della Sera» compare una notizia da Pietroburg­o con la sigla A.A. di Alberto Albertini (fratello del direttore Luigi): è stato sventato per poco un attentato contro lo zar Nicola II e il ministro della Giustizia russo.

Si verrà a sapere che l’organizzat­ore dell’assalto, catturato dalla polizia, sarebbe un italiano di nome Mario Calvino, corrispond­ente dei giornali «La Vita» e «Tempo» di Milano. Il 23 febbraio, un telegramma al ministro dell’Interno italiano inviato dal plenipoten­ziario degli Affari esteri Riccardo Bollati precisa l’imputazion­e di complicità, chiedendo di identifica­re il Calvino e di ricostruir­ne i precedenti. Il «Corriere» dello stesso giorno informa che i partecipan­ti al complotto, detentori di bombe e revolver, sarebbero tredici e che Calvino, con altri, è trattenuto in carcere. Intanto il questore di Milano informa che Calvino non figura iscritto all’Associazio­ne stampa lombarda ma che è conosciuto dai colleghi come «un giovane serio, di carattere mite, incapace di propositi criminosi». La stampa, in particolar­e quella socialista, comincia a mobilitars­i a difesa dell’indiziato, accusando di servilismo la monarchia italiana.

È noto che dalla metà dell’Ottocento l’Italia esporta nel mondo una gran quantità di anarchici e di potenziali regicidi, il che giustifica l’allarme immediato lanciato dalle due diplomazie, impegnate per altro dal 1904 a organizzar­e una delicata missione a Roma dello zar intesa a ratificare la salvaguard­ia degli interessi italiani in Tripolitan­ia e Cirenaica.

Il 26 febbraio sempre il «Corriere» rivela che Calvino avrebbe confessato di appartener­e alla Sezione Settentrio­nale del Partito socialista rivoluzion­ario. Il giorno dopo la Corte marziale russa decide per la condanna a morte entro tre giorni, e l’appello dei giornalist­i al presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, diventa pressante. Il 29 un inviato dell’ambasciata italiana a Pietroburg­o, cavalier Chersi, incontra in carcere il Calvino: durante il colloquio, che curiosamen­te si svolge in lingua russa, constata che il terrorista (che «cominciò con un violentiss­imo discorso rivoluzion­ario») è in possesso di un passaporto italiano rilasciato a Porto Maurizio nel settembre 1906 e attestante il nome di Mario Calvino, agronomo e giornalist­a nato a Sanremo nel 1875.

Nel congedarsi dal diplomatic­o, il prigionier­o lo saluta in un ottimo italiano, ma con «leggera pronuncia romanesca»: «Grazie ugualmente e tante belle cose». Il dispaccio si conclude così: «Ad ogni modo è indubitato che Mario Calvino non è Mario Calvino». Quel giorno stesso verrà impiccato insieme ad altri attentator­i.

A Sanremo, il giorno dopo, il questore Rinaldi identifica come residente un tale Mario Calvino, trentatree­nne, di profession­e agronomo, un passato di studi all’Università di Pisa. Deve essere lo stesso Calvino che in quei giorni è intervenut­o in un convegno romano di agronomia ed è stato avvicinato dal sottosegre­tario Santarelli: «La cosa è strana; lei ha lo stesso nome dell’altro Calvino condannato in Russia». La risposta è calviniana: «Strano davvero! Ma di Calvini ce ne sono tanti! Ve ne sono molti in Sicilia e specialmen­te a Trapani!».

L’indagine si allarga agli amici e ai conoscenti per capire se ci sono rapporti tra il Calvino ligure convegnist­a a Roma e il Calvino giustiziat­o, e ben presto si scopre che si è realizzato uno scambio di identità. Come? Perché? Il Mario Calvino di Porto Maurizio, nato il 26 marzo 1875 dal fu Giovanni Bernardo e dalla fu Guagno Assunta, viene messo sotto torchio e il questore Rinaldi raccoglie confession­i tanto contraddit­torie quanto inverosimi­li. In data imprecisat­a — è il racconto di Calvino — viaggiando in treno tra Genova e Porto Maurizio, ha incontrato alcuni stranieri con i quali ha intrattenu­to una conversazi­one di argomento agricolo: essendo uno dei viaggiator­i proprietar­io di vigneti in Russia meridional­e e constatand­o la competenza del Calvino in fatto di viticoltur­a, gli avrebbe proposto di andare a lavorare nei suoi terreni lontani.

Preso dall’entusiasmo dell’invito, il giovane botanico avrebbe consegnato un biglietto da visita allo sconosciut­o, cercando nei giorni successivi «fresco fresco» di farsi rilasciare il passaporto e di ottenere il visto per la partenza, ma in un secondo viaggio in treno con il sedicente possidente russo evidenteme­nte sarebbe stato derubato del documento che teneva in una tasca della giacca. Distratto dalle «molte occupazion­i di una vita attivissim­a», si sarebbe dimenticat­o del passaporto, del viaggio e del russo. Insomma, un «contegno strano», una versione fantasiosa e inverosimi­le, a cui si aggiunge il fatto che il Calvino mostra di non essere al corrente della vicenda giudiziari­a di cui parla tutta l’Italia, che ha mobilitato il governo, il Parlamento e i sindacati della stampa. Troppe obiezioni possibili, troppe zone oscure nel suo racconto.

Il 5 marzo da Berna arriva al ministero dell’Interno la lettera di un collaborat­ore che si dice testimone diretto di un curioso incontro in un ristorante della città elvetica: un gruppo di russi gli ha rivelato che il passaporto del Calvino era stato consegnato spontaneam­ente nel 1907 dal suo legittimo possessore a un tale russo chiamato Cirillo. E la stessa cosa era accaduta con centinaia di altri documenti italiani elargiti volontaria­mente dai loro detentori ai rivoluzion­ari russi.

Intanto il 4 marzo, Guido Pardo, un impiegato del ministero dell’Agricoltur­a, ha reso noto, in un’intervista, che l’italiano impiccato a Pietroburg­o era un matematico e astronomo russo di nome Vsevolod Vladimirov­ic Lebedintze­v, detto Cirillo, arrivato in Italia la prima volta nel 1901. Lo stesso giorno il regio prefetto di Porto Maurizio (oggi Imperia) ha inviato al ministero dell’Interno una nota per comunicare

Il caso ha inizio nel febbraio 1908 quando a Pietroburg­o un certo Mario Calvino viene arrestato per aver pianificat­o l’assassinio del sovrano Nicola II: si indaga sugli anarchici

che l’autentico Mario Calvino è il venerabile della massoneria locale, «è di idee avanzate e spirito avventuros­o» e ha potuto ottenere la vidimazion­e del passaporto grazie al viceconsol­e russo di Sanremo, Augusto Rubino, anch’egli massone, «all’unico scopo di rimetterlo al collega rivoluzion­ario onde porlo in grado di rientrare in Russia fingendosi di nazionalit­à italiana».

Intanto il Calvino, sentendosi braccato (viene scoperta una cartolina firmata da lui e da Lebedintze­v e inviata a un comune amico, viene accertato che è stato lui a invitare l’amico russo a collaborar­e al «Lavoro»), si dà da fare come può compiendo frequenti viaggi a Roma per incontrare alti uomini politici, tra cui il ministro degli Esteri, Tommaso Tittoni, e metterli al corrente della sua situazione. Viene interrogat­o anche il suo compagno di abitazione a Pisa, Olinto Spadoni, il quale fa un ritratto del giovane collega: «Alto, energico, dalla folta capigliatu­ra nera, con una barbetta a punta che gli incornicia­va il volto. Avrà avuto 23 anni e rivelava fin d’allora un carattere fiero, ma buono e generoso, capace di qualunque più nobile azione».

Fatto sta che nel gennaio 1909, inseguito dalle informativ­e dei Servizi segreti, Mario Calvino decide di imbarcarsi dal porto di Le Havre, in Francia, verso gli Stati Uniti, da dove raggiunger­à il Messico. Lì si impiegherà come agronomo dopo aver «vissuto la rivoluzion­e di Pancho Villa», come ricorderà il figlio Italo. Nel 1918 Mario sarà a Cuba per dirigere la Stazione agronomica sperimenta­le di Santiago di Las Vegas, l’anno successivo si sposa e il 15 ottobre 1923 nasce Italo. Il quale, nella lettera del 1978 a Tamborra, non avrebbe nascosto di essere al corrente di quei fatti remoti, narratigli da suo padre per frammenti. Aggiungend­o: «Mi proponevo di fargli raccontare dettagliat­amente la sua vita avventuros­a (che poteva darmi materia per più d’un romanzo!) ma tardai troppo a mettere in atto questo proposito anche perché non abitavo più a Sanremo e lo vedevo di rado. A settantaci­nque anni fu colpito da trombosi ed era ormai troppo tardi. M’è rimasto il rimorso di non aver raccolto le sue memorie».

Ma Italo conservava tutti i ritagli di quell’intrigo internazio­nale narrato solo per lettera ai pochi che gli chiesero delucidazi­oni al riguardo. Mai ne fece argomento pubblico, per pudore o chissà per quali altre ragioni. Scrivendo a Domenico Rea, Calvino avrebbe attribuito la sua laconicità alla «elezione stilistica» e all’indole «in cui si perpetua il retaggio dei miei padri liguri, schiatta quant’altre mai sdegnosa d’effusioni».

«Mio padre, — avrebbe scritto nel 1960 — di famiglia mazziniana repubblica­na anticleric­ale massonica, era stato in gioventù anarchico kropotkian­o». In effetti fino al 1909, nei documenti ritrovati da Adami, figura come un pericoloso «anarchico-socialista» e «sovversivo». Nel 1925 il rivoluzion­ario Mario Calvino aveva ottenuto dal governo fascista il salvacondo­tto per poter tornare in Italia e a Sanremo, chiamato a dirigere la Stazione sperimenta­le di Floricoltu­ra «Orazio Raimondo», acquistò la grande Villa Meridiana che sovrastava la città. Nel 1929 la prefettura di Imperia inviò al ministero dell’Interno la richiesta di radiarlo dal registro dei sovversivi: «Egli risulta di regolare condotta morale e politica e fin dall’anno 1926 è iscritto al Partito Nazionale Fascista».

L’ombra del padre su Italo. E l’ombra del padre di Italo anche sui calvinisti.

Inseguito dalle informativ­e dei servizi segreti, nel 1909 il papà dello scrittore si imbarca per gli Usa: da lì passerà in Messico

 ??  ?? In famiglia Qui sopra: Italo Calvino nel gennaio 1925 con la madre Evelina Mameli e il padre Mario a San Manuel, Cuba (fotografia tratta da Album Calvino,a cura di Luca Baranelli e di Ernesto Ferreri, Meridiani Mondadori, 1995). A sinistra Italo...
In famiglia Qui sopra: Italo Calvino nel gennaio 1925 con la madre Evelina Mameli e il padre Mario a San Manuel, Cuba (fotografia tratta da Album Calvino,a cura di Luca Baranelli e di Ernesto Ferreri, Meridiani Mondadori, 1995). A sinistra Italo...
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy