Corriere della Sera

Un libro di Giovanna Pancheri sulle stragi jihadiste (Rubbettino) Aggrappars­i alle piccole cose per eludere la morsa del terrore

- Di Maurizio Caprara

Lucia Annunziata è conosciuta oggi soprattutt­o come intervista­trice televisiva, ma quando era giornalist­a di carta stampata ha scritto alcuni libri. In uno, Bassa intensità (Feltrinell­i, 1990), descrizion­e della guerra in Salvador nel 1983, osò esporre una verità di solito non detta: in zone di combattime­nti, chi si trova in mezzo a persone che muoiono può provare la sensazione eccitante di chiudere una giornata sentendosi più vivo di prima perché dalla morte è stato risparmiat­o.

Giovanna Pancheri, l’attuale corrispond­ente di Sky Tg24 da New York che in precedenza ha raccontato gli attentati dei fondamenta­listi islamici a Parigi e Bruxelles, ha infilato in un libro su quelle stragi del 2015 un’altra ammissione non banale. La mattina dopo il massacro nella redazione del settimanal­e satirico «Charlie Hebdo», mentre un attentator­e di stessa matrice prendeva ostaggi e assassinav­a clienti in un negozio di cibi kosher della cucina ebraica, una sua preoccupaz­ione fu di non potersi lavare i capelli.

Attenzione: non c’è vezzo, non c’è narcisismo in questa ammissione. C’è una spiegazion­e di come possono essere congegnati i nostri meccanismi di difesa di fronte a un’offensiva del terrore che punta a sventrare le routine di noi presunti infedeli. «La sopravvive­nza, come mi insegneran­no ripetutame­nte le storie nelle quali mi imbatterò in questo 2015, affonda le sue radici nelle piccole cose e la mia piccola cosa per mantenere lucidità e capacità di analisi è la treccia che mi sto facendo in questo momento velocement­e», ha scritto Pancheri rammentand­o Una chitarra tra i fiori lasciati davanti al Bataclan di Parigi dopo la strage del 13 novembre 2015 (Afp / Franck Fife)

la mattina in cui a massacro si aggiunse massacro.

Quello sui capelli è un punto marginale di Il buio su Parigi. Oltre la cronaca nei giorni del terrore, libro pubblicato da Rubbettino che verrà presentato domani a Roma da Romano Prodi e dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, presso il Centro studi americani. Marginale però non significa accessorio. Perché è proprio esplorando la quotidiani­tà delle vittime e delle loro comunità, le loro abitudini prima che sicari integralis­ti islamici irrompesse­ro sui percorsi delle loro esistenze, che la giornalist­a di Sky Tg24 descrive sotto un’angolatura nuova quanto era risaputo.

Andare «oltre la cronaca», per lei, ha significat­o anche raccontare le conseguenz­e delle incursioni sulle vite dei sopravviss­uti e dei famigliari delle vittime, intervista­ti a distanza di tempo dai traumi sumento…

biti. Uno dei meriti principali del libro.

Non può lasciare indifferen­ti per esempio la moviola della memoria con la quale, parlando con Giovanna Pancheri mesi più tardi, uno dei feriti del bar Cardellin ricorda la notte del 13 novembre del 2015, quella dei 130 morti a Parigi. Hugo, 29 anni, definito dall’autrice «bellezza della gioventù», ricostruis­ce che cosa provò quando il cosiddetto «commando delle terrazze» sparando su bar e ristoranti cominciò ad ammazzare 39 persone. «Hugo è diffidente, sente ancora sulla carne i denti affilati del rancore e della paura», ha scritto Pancheri. Ecco uno dei frammenti della memoria dell’uomo sul raid: «Ero in posizione fetale sotto la finestra, con il braccio sinistro mi coprivo la testa e non riuscivo a vedere l’entrata del locale, vedevo solo la mia mano destra poggiata sul pavi-

La mia mano che è esplosa… Ho persino visto le scintille che la pallottola ha provocato sulla mia mano. E poi a essere esploso è stato il dolore». Era soltanto una delle pallottole entrate nel suo corpo.

Poi gli interventi chirurgici, la sofferenza morale profonda che dura a distanza di tempo. Nel 2015 all’autrice è tornato in mente quanto si chiese da piccola dopo aver saputo che un amico di famiglia, il senatore democristi­ano Roberto Ruffilli, nel 1988, era stato ucciso dalle Brigate rosse: «La domanda che mi pongo è la domanda di una bambina, la domanda più disarmante nella sua innocenza: “Perché?”». Perché viene sparso tanto dolore? Anche la più argomentat­a delle analisi sul terrorismo integralis­ta islamico fatica a dare risposta completa a questo interrogat­ivo.

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