Corriere della Sera

«Imito mio papà Mike Tutta per merito mio l’amicizia tra lui e Fiorello»

- di Elvira Serra

Qualcuno che lo chiama Leolino ancora c’è. «Magari è un pensionato che mi riconosce per strada, o una cassiera al supermerca­to. Sono sempre un po’ imbarazzat­o, mi fanno tanti compliment­i che penso siano immeritati, mi commuovo. Dimostrano il loro affetto per papà, ne sono felice».

Leonardo Bongiorno, 27 anni, laurea alla Bocconi, master a Shanghai e da due anni socio di un fondo che investe in startup, ha rinunciato al vezzeggiat­ivo con cui suo padre Mike lo chiamava davanti al pubblico televisivo il 9 settembre 2009, nel necrologio pieno di amore che firmò da solo sul Corriere della Sera. Scrisse, chiudendo con «Il tuo ex Leolino»: «I hope one day to become half the man you are», spero un giorno di diventare la metà dell’uomo che sei. «Quella frase l’aveva usata il figlio di un pompiere nella pagina degli Obituaries di un quotidiano locale americano. Mio padre lo aveva letto durante una vacanza negli Stati Uniti e ne rimase così colpito che si riportò in Italia il giornale, lasciandol­o per anni sulla scrivania. Ci tenevo, con quel messaggio, a fargli capire quanto gli fossi vicino».

Leonardo fin da subito ha capito di avere due papà. «È la prima immagine che ho di lui: sono in cucina, lui è dentro la tivù e poi apre la porta e compare in vestaglia e pantofole». Il padre pubblico e il padre privato si fondono in quel momento. «Rispetto ai miei fratelli maggiori, Michele e Nicolò, me lo sono goduto nella sua fase più lenta, casalinga e affettuosa. Loro non lo vedevano mai, esclusi i bellissimi viaggi in tutto il mondo durante le vacanze, perché dagli anni 70 ai 90 era sempre impegnato nel “Giro Mike”, una tournée che faceva in tutte le città d’Italia, dove presentava ogni tipo di sagra. In casa, dopo, siamo rimasti io, lui e mamma, un nucleo nostro. Non mi ha mai fatto rimpianger­e quei padri giovani che portano il figlio a calcetto o al parco e se lo issano sulle spalle. Sapeva essere lo stesso molto efficace con l’esempio».

La disciplina, prima di tutto. «Era fissato con lo sport e voleva che lo praticassi ogni giorno. Ricordo che avevo lunedì nuoto, martedì tennis, mercoledì cavallo, giovedì golf, venerdì non mi ricordo e poi sci tutti i weekend. Quello lo facevamo insieme, certe levatacce! In pista voleva essere il primo e mi svegliava sempre alle 6, mi stringeva gli scarponi fino a farmi male e uscivamo».

Anche nello studio, a suo modo, gli è stato di esempio. «Andava a dormire molto tardi, alle 3 o alle 4 del mattino: se ne stava ore seduto nella sua poltrona con il sigaro e un taccuino su cui prendeva appunti guardando i programmi della tivù americana. Si era fatto montare una parabola in terrazzo che sembrava la Nasa. Le chiamava le sue “ricerche”». Credeva così tanto nella preparazio­ne che ha applicato il medesimo impegno nei collegamen­ti quotidiani di due minuti con Fiorello per Viva Radio 2. «Sono stato io a far sentire a papà le imitazioni di Fiorello e all’inizio non era molto contento. Poi invece sono diventati amici ed è cominciata l’abitudine di sentirsi in diretta alla radio. Papà prendeva quegli appuntamen­ti sul serio, ogni giorno fingeva di essere stato sorpreso mentre faceva una cosa diversa: una volta mi mandò a comprare quei barattoli che se li giri fanno il verso della mucca, e raccontava che stava mungendo in montagna; un’altra volta si fece incidere un esercizio da un violinista per far credere che stesse suonando lui».

In casa si incrociava­no sempre a colazione, quella del padre. «Quando tornavo da scuola lo trovavo puntuale che mangiava muesli con yogurt e spremuta d’arancia. Mi chiedeva come era andata, cos’avevo fatto. Rispondevo laconico: niente. Ma se avevo preso un bel voto, e lo prendevo spesso, lui era tutto contento». Un altro rito condiviso erano le partite della Juve. «Le guardavamo in salotto, io sul divano, lui nella sua poltrona, con i telegatti dietro di noi che facevano il tifo. Nessuno poteva alzarsi».

Negli ultimi anni Mike si era molto indebolito. «Diceva che ero il suo bastone della vecchiaia ed era vero. Non gli piaceva mostrarsi fragile, così lo aiutavo come potevo. Ricordo quando lo sorreggevo mentre entrava in piscina ed era tutto tremolante». La morte, però, non se l’aspettava. «Tre giorni prima avevamo festeggiat­o il mio ventesimo compleanno e lui, davanti alla torta e ai miei amici, aveva fatto un discorso serio sui valori, perché ormai ero un uomo». Il «rapimento» della salma nel 2011 ancora oggi non se lo spiega. «Una cosa assurda, senza senso. Dopo, lo abbiamo voluto cremare: le sue ceneri ora sono disperse sul Cervino e in parte sono nella cappella di famiglia, al lago». Nel numero di cellulare di Leonardo ci sono tre 3 di fila. «Quando lo detto mi diverto a pronunciar­e i numeri come faceva lui. È il mio inside joke, un gioco segreto: il mio modo per sentirlo vicino».

@elvira_serra

Aveva una parabola stile Nasa, fino alle 4 del mattino se ne stava con sigaro e taccuino a guardare la tv americana Le chiamava le sue «ricerche»

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