Corriere della Sera

«I patti con le città africane? Meglio se li fanno le Regioni No ai permessi provvisori»

Maroni: li adottai da ministro, ora si rischia il boomerang

- di Pierpaolo Lio

«L’idea del governo di concedere visti temporanei di sei mesi rischia di essere un boomerang».

Roberto Maroni, presidente della Lombardia, non fu proprio lei sei anni fa, da ministro dell’Interno del governo Berlusconi, a usare per la prima volta questi permessi a tempo?

«È vero. Era il 2011 ed eravamo di fronte a un’emergenza vera. A fine gennaio scoppiaron­o le Primavere arabe e passammo da sbarchi praticamen­te zero l’anno prima — grazie all’accordo con Gheddafi siglato nel 2007 non da me, ma dal mio predecesso­re, Giuliano Amato e attuato dal 2009 — a 45 mila arrivi tra gennaio e agosto. In quella situazione io presi tre decisioni: i visti provvisori, ma anche altri due provvedime­nti che oggi mancano e sono determinan­ti».

Che cosa decise?

«Il governo dichiarò lo stato d’emergenza che giustifica­va anche una misura straordina­ria come i permessi provvisori. Inoltre l’Italia strinse una serie di accordi con i Paesi nordafrica­ni, in particolar­e la Tunisia, per fermare le partenze».

È fondamenta­le bloccare gli arrivi per pensare di concedere ai migranti un lasciapass­are europeo?

«Certo. Proprio perché avevamo bloccato gli arrivi i nostri visti vennero accettati dall’Europa, risolvendo così la pressione che si era creata in Italia. Oggi però mancano le condizioni: per ragioni politiche il governo non vuole dichiarare lo stato d’emergenza e non ci sono accordi con i Paesi

L’Onu deve allestire dei campi in Libia Noi, e non i Comuni, abbiamo le risorse per aiutarli a casa loro Stop agli arrivi

dell’altra sponda del Mediterran­eo. Ma di fronte alla previsione che gli sbarchi continuino a questi ritmi, i permessi temporanei rischiano di essere controprod­ucenti».

In teoria molti migranti potrebbero proseguire il loro viaggio verso il Nord Europa, che spesso è la loro vera destinazio­ne. Perché oggi non dovrebbero funzionare?

«Di fronte a un flusso continuo di arrivi, gli altri Paesi europei ce li rimandereb­bero indietro non appena scaduti i sei

«Nel 2011 regolammo i lasciapass­are facendo anche accordi per fermare gli arrivi»

mesi. E il sollievo sarebbe solo temporaneo. Per di più, se non si bloccano nel frattempo le partenze, i visti potrebbero rappresent­are un incentivo a venire in Italia».

Ma come si possono fermare le partenze da una Libia ancora nel caos?

«Il governo deve pretendere un intervento dell’Onu: i caschi blu dovrebbero allestire campi di accoglienz­a direttamen­te in Libia. Si risolvereb­be il problema: una volta identifica­ti tutti, infatti, chi ha titolo per venire in Europa potrebbe arrivare in sicurezza. E c’è di più: se entrano in gioco le Nazioni Unite, allora l’Europa — che oggi è sorda cieca e muta — seguirà».

Il ministro Minniti sta provando a coinvolger­e i sindaci italiani in progetti di sviluppo nelle municipali­tà libiche. Che ne pensa, si va nella giusta direzione?

«Ho visto l’iniziativa sviluppata con l’Anci. Bene, ma c’è un problema: i Comuni italiani non hanno soldi. Perché non proporre invece questo progetto alle Regioni? Sono venti, e non 8 mila, e almeno quelle virtuose hanno risorse per fare investimen­ti per “aiutarli a casa loro”, come dice Renzi. Io le risorse le ho: se il ministro me lo chiede, possiamo parlarne».

Intanto aumentano i sindaci in rivolta contro i migranti inviati dai prefetti.

«Io li capisco e a loro va tutta la mia solidariet­à. C’è una gestione caotica che crea una reazione comprensib­ile che è destinata ad aumentare. Non è tanto una questione politica, è un tema di responsabi­lità nella gestione del territorio. Vede, non sono i sindaci leghisti a ribellarsi, sono i sindaci siciliani, che sono abituati da anni a convivere con questa problemati­ca: è un campanello d’allarme che il ministro dell’Interno non può ignorare, o sarà il caos».

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