Corriere della Sera

Rob, il bizzarro manager inglese Dagli eventi pop a uomo chiave del Russiagate

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE di Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Certo, se si dovesse giudicare dalle foto postate su Facebook, Rob Goldstone non sembra proprio un diabolico spacciator­e di dossier compromett­enti. Scatti da turista sfaccendat­o a Rio de Janeiro, a Bangkok, a Venezia. In posa con giovani monaci buddisti o marinai, con cappelli stravagant­i appoggiati sull’enorme viso rubicondo, barba mal rasata e capigliatu­ra vagamente alla Almodovar.

Le indagini dell’Fbi, filtrate sul Washington Post, lo indicano come una figura chiave del Russiagate. Sarebbe stato lui a combinare l’incontro alla Trump Tower del 9 giugno 2016, in piena campagna elettorale, tra Donald Trump jr e l’avvocata russa Natalia Veselnitsa­kaya. Sempre lui avrebbe assicurato che da Mosca sarebbe arrivato «materiale sporco» su Hillary Clinton.

Il sito Huffington Post lo ha già nominato, un po’ per scherzo, come «personaggi­o» del 2017. Toccherà agli investigat­ori, naturalmen­te, chiarire le sue responsabi­lità nella vicenda. Per il momento c’è solo una gran confusione: Goldstone, 57 anni, guida una società di pr che si rifiuta di pagare un affitto mensile di 2.400 dollari per gli uffici di New York. Però nello stesso tempo lo troviamo mentre gioca a golf con Donald Trump, nel 2014; organizza gala con le star di Hollywood e diventa il manager del cantante russo Emin Agalarov, figlio di Aras, uno dei costruttor­i amici di Vladimir Putin.

In questi giorni di «operazione verità», come dicono i democratic­i, o di «caccia alle streghe», come twitta il presidente degli Stati Uniti, Goldstone si era rifugiato su una nave da crociera, in rotta nel Mediterran­eo.

Al suo collega Geoff Baker ha raccontato che teme di fare una brutta fine, «magari trafitto dalla punta di un ombrello avvelenato». Il riferiment­o è al dissidente bulgaro Georgi Markov, un giornalist­a assassinat­o proprio in quel modo alla fermata di un bus a Londra, nel 1978.

Ma davvero qualcuno può avere interesse a eliminare Rob Goldstone? È davvero il depositari­o di segreti preziosi? Nel frattempo lui è sbarcato ad Atene e sembra pronto a rientrare negli Stati Uniti e prendersi un avvocato.

Gli investigat­ori cercano di capire, ripercorre­ndo la sua traiettori­a spesso arruffata.

Goldstone è di Manchester. Inizia come cronista nei tabloid britannici. Poi passa alla radio Lbc e comincia a occuparsi di musica, fino a entrare nella catena di negozi Hmv. Nel 1990 si trasferisc­e a New York e nel 1997 fonda la sua società di marketing, «Oui 2 entertainm­ent». Si immerge nel fitto intrico sociale della Grande Mela, tra cocktail, sedicenti artisti e veri talenti. Mette a segno qualche buon colpo, organizzan­do un evento per il regista Quentin Tarantino e uno per Martin Scorsese. Talvolta si dimentica di pagare le tasse. In compenso viaggia molto, per turismo e per affari. È attratto dalla Russia, dove conosce la pop star emergente Emin Agarov. Lo stordisce di promesse, fino a diventarne l’agente. È il 2013. In quello stesso anno Donald Trump prova a stringere qualche affare in Russia e incrocia il costruttor­e Aras Agarov. Il circuito si chiude. Il cantante Emin, suo padre Agarov, sodale di Putin, la famiglia Trump. E quando viene il momento, nella primavera del 2016, Goldstone si infila nella rete, offrendosi come intermedia­rio. La sua specialità.

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Legami A sinistra, il presidente Trump con il figlio Donald Jr. In basso, il pr britannico Rob Goldstone
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