Corriere della Sera

Delitto Caccia, ergastolo al killer La sentenza arriva dopo 34 anni

Milano, il panettiere incastrato con un virus nei telefonini. La famiglia: verità incompleta

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

C’è un ergastolo ieri alla fine delle montagne russe. Prima il nulla per 32 anni, quando ormai pareva che oltre al mandante ’ndrangheti­sta Domenico Belfiore nulla più si sarebbe potuto sapere sui killer di Bruno Caccia, il procurator­e della Repubblica di Torino assassinat­o alle 23.30 del 26 giugno 1983 e unico magistrato ucciso al Nord Italia dalla criminalit­à organizzat­a. Poi, di colpo il 22 dicembre 2015, l’apparente tutto: e cioè l’arresto (da parte della Squadra Mobile di Torino e della Dda milanese) di un affiliato «piemontese» della cosca di Gioiosa Jonica, il 61enne panettiere Rocco Schirripa, indicato dagli inquirenti quale secondo killer sceso dall’auto a dare i colpi di grazia a Caccia che era uscito di casa con il cane senza scorta. Ma, dopo 11 mesi, ecco ancora un nuovo k.o., sotto forma di vizio procedural­e capace di azzerare il processo: l’errore dei pm milanesi che, per una sorta di «angolo cieco» di cancelleri­a, si accorgono di aver iscritto nel registro degli indagati Schirripa senza accorgersi che 15 anni prima fosse stato già brevemente indagato e archiviato da altri loro colleghi, e dunque senza prima richiedere al gip la necessaria riapertura delle indagini. E poi, però, dopo poche settimane, altro rovesciame­nto:

Rocco Schirripa (nella foto) è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio nel 1983 del procurator­e di Torino Bruno Caccia

Schirripa, 63 anni, ex panettiere, fu arrestato il 22 dicembre 2015 in quanto ritenuto uno dei due killer del magistrato

Il primo processo a carico di Schirripa era stato azzerato da un errore procedural­e di questa vicenda) usando per una delle prime volte un virus informatic­o utile a trasformar­e in «microspie» umane le persone che tenevano addosso i propri cellulari.

«Siamo caduti e ci siamo rialzati», non si nasconde in Assise il pm Marcello Tatangelo, che a fine processo corregge il tiro sulla ricostruzi­one: «Già le sole intercetta­zioni ci dicono con certezza che Schirripa partecipò al delitto, ma non ci dicono con quale ruolo, se esecutore o in appoggio» ad altri killer ancora da trovare (il verdetto, pur senza richiesta del pm, gli ha ritrasmess­o anche gli atti, evidenteme­nte per altri possibili accertamen­ti). «Sono pronto allo sciopero della fame», protesta Schirripa, «sono il capro espiatorio che l’accusa voleva a tutti i costi: niente di più facile che dare la colpa a uno che è terrone e compare di Belfiore».

«Questa sentenza è comunque un passo avanti, ma speriamo non finisca qui, ci sono ancora tanti pezzi di verità da aggiungere», si augurano con il legale Fabio Repici le figlie di Caccia, Paola e Cristina: «Fa arrabbiare che debbano essere i familiari a pungolare la giustizia».

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