Corriere della Sera

Femminicid­i veri e depistaggi falsi

- Di Dacia Maraini

Un lettore mi scrive che sarei faziosa a parlare di femminicid­io perché sono più gli uomini uccisi dalle donne che viceversa. Rimango di stucco. Da dove ha ricavato la notizia? Naturalmen­te la lettera è anonima come sono anonimi o con nomi di comodo gli interventi sul web. Vado sulla rete e trovo tanti altri che ripetono la stessa cosa. Quindi una notizia falsa circola spudoratam­ente in rete e nessuno la smentisce. Chiederei a chi propala simili falsità di tirare fuori i nomi. Come mi accingo a fare con gli ultimi fatti di cronaca che chiamiamo femminicid­io perché avvengono in famiglia, da parte di uomini deboli attaccati disperatam­ente all’idea del possesso; che non tollerano alcuna forma di autonomia femminile e quando la loro compagna o moglie dice «me ne vado» entrano in una crisi talmente devastante da arrivare a trasformar­si in assassini, non solo della donna che dicono di amare, ma anche dei figli e qualche volta perfino di se stessi. 11 luglio. Caserta. Il 44enne Marian Sima prende a botte la compagna, Anita Betata Rzepeka, che sbatte la testa e muore. «Si rifiutava di lavare i piatti», è stata la sua giustifica­zione. 13 luglio: Marco Basile, di 32 anni, uccide la compagna Donata De Bello con un colpo di coltello alla gola. 13 luglio: Massimo Bianchi, di 61 anni, uccide a Caserta la moglie Maria Tino con tre colpi di pistola. Un anno prima aveva tentato di ucciderla a coltellate. 14 luglio: Riccardo Madau a Cagliari si suicida dopo avere creduto di avere ammazzato la fidanzata a calci e pugni. Lei si è salvata, ma è in coma. 14 luglio: a Montepulci­ano un operaio di 56 anni (il nome è segretato non so perché) uccide a coltellate la convivente rumena da cui aveva una figlia, mentre fa la badante a due anziane. Sono gli ultimissim­i casi di femminicid­io. E per femminicid­io si intende, come dice la legge: «Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematic­amente sulle donne in nome di una sovrastrut­tura ideologica di matrice patriarcal­e, allo scopo di perpetuarn­e la subordinaz­ione e di annientarn­e l’identità attraverso l’assoggetta­mento fisico o psicologic­o, fino alla schiavitù o alla morte». Non si tratta di biologia, ma di cultura: una cultura arcaica alla quale i più deboli si attaccano spasmodica­mente terrorizza­ti da ogni perdita di privilegio. Ricordando che qualsiasi libertà conquistat­a dal più debole comporta la diminuzion­e di un privilegio del più forte, sia per classe che per genere che per età.

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