E Dino stilò il manifesto «imagista»
Il fronte dell’arte Nel 1968 la stesura del documento insieme con il pittore Giuseppe Viola
La passione di Dino Buzzati per la pittura è cosa nota. Più volte aveva provocatoriamente detto che si trovava vittima di un «crudele equivoco», quello di essere «un pittore il quale per hobby» aveva fatto anche lo scrittore e il giornalista. Meno noto, invece, il fatto che con Giuseppe Viola (artista milanese amico di De Pisis, Burri, Carrà, Crippa) Buzzati stese e firmò nel 1970 il «Manifesto della pittura imagista», corrente nata dalla trasposizione pittorica della poetica di Ezra Pound, di cui lo stesso Viola fu il capostipite. Dieci punti per spiegare come il pittore imagista «vuole rompere con ogni schema e ogni forma di «linearità di espressione». Egli «non ha un’unica linea espressiva; non è “ingabbiato” in uno stile», si legge; «usa svariate tecniche, è un ricercatore e sperimentatore di colori e materiali; ha liberà di espressione totale, anche a discapito del “mercato” e della critica; ha libertà di rivisitazione delle correnti pittoriche del passato, anche “mischiate” tra loro». Il pittore imagista «vuole avere il coraggio dell’arte Barocca e la musicalità del Simbolismo; la semplificazione del Cubismo, la rapidità di esecuzione dell’Impressionismo e la carica umana dell’Espressionismo; tocca ogni tematica sociale o ambientale; è attento e aperto a ogni rappresentazione sociale, culturale, tecnologica; non vuole rappresentare soltanto il “bello” perché esiste anche il brutto»; e infine: «rifiuta l’accademismo sterile di rappresentazioni che mirano alla superficiale rappresentazione del piacevole e del lezioso».
Essenzialità, linguaggio innovativo, immediatezza di lettura e stretto legame tra letteratura e pittura, come bene sintetizza proprio Poema a fumetti, oltre che l’intera produzione grafica di Buzzati. La cui arte è stata spesso definita letteratura disegnata. O, come scrisse Bruno Alfieri, una «lett-pittura». (l. v.)