Dottor Roger e Mister Federer, le due facce del re
Freddure, amici e una vita normale
dell’incidente sul Col de Peyra Taillade. Me la sono vista bruttissima».
Nell’entourage di Froome, atmosfera incandescente. Con parole non nobilissime («Scrivete articoli di m...») il baronetto Brailsford, boss del team, ha provato a cacciare dall’hotel di Sky un gruppo di cronisti inglesi che da mesi chiede chiarimenti sulle pratiche sanitarie della squadra.
Per Aru, invece, conferenza stampa senza barriere. Chi vincerà il Tour, Fabio? «Uno qualunque tra noi quattro. Froome ha dalla sua esperienza enorme, la cronometro di Marsiglia e una super squadra. Bardet sa come sorprendere il gruppo, Uran va forte dappertutto. Alla fine, però, toccherà a chi ha recuperato meglio le fatiche delle prime due settimane». E tu? «Io conosco bene le due tappe di montagna, vicine al Sestriere dove mi alleno. Non vedo l’ora di scalare il Galibier di Pantani e l’Izoard. I luoghi della leggenda del ciclismo mi esaltano». La squadra? Resta il tuo punto debole? «Come potete dimenticare cosa abbiamo passato negli ultimi mesi, tra la tragedia di Scarponi e gli altri incidenti? Ho sei uomini ancora con me, coraggiosi e pronti a lottare. Daranno tutto per aiutarmi». arrossisce spesso. Per esempio ogni volta che gli chiediamo — ed è puntualmente successo nella conferenza stampa che ha seguito il 19° Slam — come ci si sente a essere una leggenda e lui abbassa gli occhi, vorrebbe sparire e invece si sforza di organizzare una risposta decente, che potrebbe declinare in cinque lingue diverse. Il Supereroe Il manager Godsick pensa agli sponsor, la moglie Mirka ai vip, lui ad allenarsi e a vincere Hai un piano, una tattica? «No. In una situazione del genere i piani li puoi fare solo sul campo. Non ho idea di quanto vantaggio dovrei guadagnare su Froome per poterlo conservare a cronometro. E francamente non m’interessa. Qui conta stare concentrati e dare tutto: il terreno per attaccare c’è. Con il Vars e l’arrivo in salita sull’Izoard, la tappa di giovedì sembra più dura, ma anche domani con Croix de Fer, Télègraphe e Galibier può succedere di tutto. Un traguardo in discesa può fare più male di un in quota». Saresti disposto a giocarti il podio per cercare la vittoria finale con un arrembaggio tranquillo sa come comportarsi in qualsiasi circostanza: tre baci (non uno, non due) sulle guance di Kate e una virile stretta di mano a William, poi una grattatina affettuosa alla testa canuta di papà Robert, lo svizzero che incrociando i geni con la moglie sudafricana ha prodotto l’eccellenza.
Dottor Roger è il bravo papà che, riempiendo la vasca per il bagnetto delle gemelle, si rompe il menisco come un cumenda sovrappeso. Mister Federer è il fenomeno che, dopo un’operazione al ginocchio e sei mesi di bacino di carenaggio, torna e vince due Slam su tre (a Parigi, quando Nadal ha suonato la decima, Classe Roger Federer, 35 anni, in smoking e coppa di Wimbledon (Afp)
non c’era). Roger è il compagnone che arrivando da dietro ti fa il coppino e, se Mirka non è in giro, aspetta che spiova giocando alla PlayStation. È il protagonista di un video divertente girato quest’anno a Indian Wells: lui, l’amico Haas e Dimitrov
che cantano in playback «Hard to say I’m sorry» dei Chicago, classico strappalacrime, mordendosi la lingua per non ridere. Il suo profilo Twitter, oltre che di marchi prestigiosi che i top players gli invidiano, è zeppo di facce buffe, spiritosaggini (la coppa di Melbourne portata a duemila metri sulle Alpi, il ricevimento al Metropolitan di New York indossando lo smoking con un cobra ricamato sulla schiena), freddure. Domenica sera, andando al gala di Wimbledon, ha raccolto la provocazione di Garbine Muguruza. «Roger sei pronto ad aprire le danze?». «Fatti sotto campionessa...». Con un pinguino a compendio, come dire: ma come cavolo ci siamo dovuti vestire?
Gli sponsor sono affare di Tony Godsick, storico manager. I vip li gestisce Mirka nel suo ruolo di amministratrice delegata della Federer Family & Corporation. Per Roger avanza ciò che più gli piace: allenarsi, viaggiare, vincere. Con la naturalezza di chi è venuto al mondo per fare, nell’ordine, le tre cose. Altro che la fatica bestiale del tennis di Nadal o la simpatia marketizzata di Djokovic. Nell’ultima foto, ieri ha posato con le maestranze dell’All England Club. «Cheeeeseee...» ha detto — come al solito — qualcuno. E lui: «Però svizzero».
Come si fa a non amarlo?
I ruoli