Torturato e ucciso: 19enne ritrovato sulla stessa strada di Giulio
Egitto, Tharwat Sameh era stato arrestato il 22 luglio. Coinvolto nel caso il poliziotto delle indagini su Regeni
«L’hanno torturato e ucciso come fosse un egiziano», disse Paola Regeni dopo il ritrovamento del cadavere di suo figlio Giulio diciotto mesi fa. Le torture continuano. Ieri l’ennesimo giovane egiziano è stato ritrovato morto, con segni di percosse e bruciature sul corpo, nel Paese del Nilo. Tharwat Sameh aveva 19 anni. Il 22 luglio era stato prelevato a casa dalla polizia. Tre giorni dopo il cadavere è stato rinvenuto sul ciglio di una strada nel deserto, nel governatorato di Fayoum, a sud del Cairo.
Il caso, riportato dalla stampa locale e dall’agenzia «Nova», ha alcuni particolari in comune con l’omicidio irrisolto di Regeni. Il collegamento che salta agli occhi è che il direttore della sicurezza di Fayoum è oggi Khaled Shalaby, lo stesso poliziotto che 18 mesi fa era l’investigatore capo nel governatorato di Giza, dove fu trovato il corpo di Regeni. Shalaby, già condannato nel 2003 per tortura (ma la sentenza era stata sospesa), dichiarò che la morte di Regeni sembrava frutto di un incidente stradale, ma fu subito smentito dall’autopsia. Ora le autorità affermano che «tre ignoti» avrebbero picchiato a morte Sameh.
Nonostante le richieste, gli investigatori italiani non sono riusciti a interrogare Shalaby che, nel frattempo, è stato promosso e trasferito a Fayoum. Quest’ultima è una roccaforte della Fratellanza Musulmana, che dopo il rovesciamento del presidente Mohammad Morsi nel 2013 è stata dichiarata un’organizzazione terroristica (i membri sono stati uccisi, arrestati, condannati a morte). Dai dati raccolti dalle Ong egiziane (oltre 730 sparizioni forzate per mano delle forze di sicurezza tra il 2015 e il 2016), sappiamo che molti «desaparecidos» sono accusati di appartenere alla Fratellanza Musulmana, ma ci sono anche dissidenti laici o persone senza legami politici. Secondo gli attivisti, Sameh potrebbe essere il secondo caso in una settimana: il 18 luglio Gamal Aweida, 43 anni, cristiano copto, è stato arrestato; 15 ore dopo la polizia ha comunicato alla famiglia la sua morte e la sezione locale di Amnesty International sospetta che sia stato torturato dalle forze di sicurezza, che «non temono conseguenze delle proprie azioni, dopo anni di impunità».
Le denunce degli attivisti giungono mentre a Bruxelles, per la prima volta dopo la rivoluzione egiziana del 2011, si è riunito il consiglio di associazione Ue-Egitto, rinnovando per i prossimi tre anni la partnership per la lotta al terrorismo, il controllo dei flussi migratori e la crescita economica. L’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini ha anche espresso preoccupazione per la violazione dei diritti umani e la repressione delle Ong in Egitto: il caso Regeni «è una priorità — ha detto — non solo per l’Italia ma per l’Europa». Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha replicato che la soluzione è «di interesse reciproco», ma il Cairo continua a negare che le sparizioni forzate siano una pratica sistematica dei suoi apparati di sicurezza. Così la sezione italiana di Amnesty chiede al premier Paolo Gentiloni che il nostro ambasciatore non torni al Cairo in assenza di passi avanti «nella ricerca della verità per Giulio Regeni».