Corriere della Sera

«Charlie a casa con noi» Ma l’ospedale è contrario all’appello dei genitori

Londra, deciderà il giudice. Il Bambin Gesù: si è arrivati troppo tardi

- DALLA NOSTRA INVIATA Sara Gandolfi

Non hanno pace i genitori di Charlie Gard. Dopo aver rinunciato a trasferire negli Stati Uniti il figlio di undici mesi, ponendo fine ad un’aspra e lacerante battaglia legale, ieri Connie Yates è tornata davanti al giudice dell’Alta corte britannica Justice Francis. Vuole portare almeno a casa il piccolo, affetto da una gravissima malattia genetica, «per trascorrer­e insieme gli ultimi pochi giorni in tranquilli­tà» e farlo dormire per la prima e ultima volta nella sua culla, contro il parere del Great Ormond Street Hospital di Londra, dove è ricoverato, e del tutore legale del bambino.

Il magistrato, che ha inutilment­e invitato le parti al compromess­o, ha rinviato la decisione ad oggi. L’esito sembra però scontato. L’«ultima volontà» dei genitori non è, per la legge britannica, un diritto e Francis ha dichiarato di «non poter rischiare che qualcosa vada storto».

I legali dell’ospedale sostengono che è impossibil­e trasferire i macchinari per la ventilazio­ne invasiva a casa Gard, nei sobborghi di Londra, e che spostare Charlie, affetto da depression­e del Dna mitocondri­ale, potrebbe provocargl­i ulteriori sofferenze. Connie e Chris (che ieri non era al fianco della moglie in tribunale) ribattono che sono in grado di pagare i costi di un apparato mobile e rifiutano la controprop­osta del tutore: far morire Charlie in un hospice per malati terminali. «Sarebbe una brutalità», ha risposto il loro avvocato.

Il braccio di ferro attorno al capezzale di Charlie rende ancora più penose le polemiche sull’amara conclusion­e di questa vicenda. I Gard hanno accusato medici e tribunali (in tre gradi di giudizio) di non aver permesso di sottoporre il bambino a un trattament­o ultra sperimenta­le — testato finora solo su cellule di laboratori­o — quando ancora avrebbe potuto portare a qualche migliorame­nto. «Ora è troppo tardi», hanno ammesso lunedì in tribunale.

Il Great Ormond Street Hospital ribatte attaccando implicitam­ente il neurologo Michio Hirano, luminare della Columbia University, di aver alimentato false speranze nei genitori, senza mai visitare il bambino né visionare le risonanze magnetiche del suo cervello.

Charlie non può vedere, sentire, muoversi e nessuno sa con certezza se sta soffrendo. Ma è sicuro ormai che la malattia è avanzata in modo irreversib­ile. Lo ha confermato ieri Enrico Bertini, primario di malattie muscolari e neurodegen­erative dell’ospedale della Santa Sede Bambino Gesù, che la settimana scorsa era a Londra con un pool internazio­nale di medici: «Confermiam­o, alla luce delle evidenze scientific­he — ha detto in una conferenza stampa a Roma — che la terapia sperimenta­le con deossinucl­eotidi poteva essere un’opportunit­à per Charlie e potrà esserlo in futuro per tutti i malati rari con la stessa patologia o patologie simili». Forse, ha proseguito, «se si fosse arrivati in tempo ci sarebbe stata qualche opportunit­à di avere un impatto su questa malattia», anche se è «impossibil­e valutare le possibilit­à di successo».

La medicina ha ancora tanti lati oscuri da conquistar­e, ma il futuro di Charlie non è più fatto di «se»: «Ci siamo accorti — ha concluso Bertini — che la situazione era drammatica e che il bambino aveva perso il novanta per cento di massa muscolare». Troppo tardi per qualsiasi trattament­o sperimenta­le.

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