Corriere della Sera

«Sepolti dai debiti» L’Atac di Roma a un passo dal crac

Il direttore generale Rota: il Comune ora decida

- di Federico Fubini

Intervista a Bruno Rota su Atac: «Fatico a pagare gli stipendi. Troppo assenteism­o, non riusciamo più a coprire i turni»

Non chiamate Bruno Rota se il vostro sport preferito è il galleggiam­ento in palude. A 62 anni, con un passato remoto di manager dell’Iri sotto la presidenza di Romano Prodi — di cui resta molto amico — e un passato recente di risanatore dell’Azienda trasporti milanese, Rota non è adatto come foglia di fico. Da marzo è direttore generale dell’Atac, l’azienda municipali­zzata di trasporto pubblico di Roma, che ha dieci anni consecutiv­i di perdite. Da poche settimane il manager originario di Domodossol­a, formato all’Università Cattolica di Milano, ha tutte le deleghe e si è fatto un quadro chiaro dei debiti. Ora spiega che è urgente agire di fronte a una grande società pubblica in situazione di insolvenza. E anche se Rota non pronuncia il nome, per rispetto verso il Comune di Roma al quale spetta la scelta come azionista, è chiaro che pensa a una procedura fallimenta­re. Dottor Rota, che idea si è fatto di Atac?

«In questi mesi ho preso progressiv­amente atto di una situazione dell’azienda assai pesantemen­te compromess­a e minata, in ogni possibilit­à di rilancio organizzat­ivo e industrial­e, da un debito enorme accumulato negli anni scorsi». Non la rassicura che il debito si sia stabilizza­to?

«Purtroppo conta poco che negli ultimi dodici mesi non sia aumentato ulteriorme­nte. Quando hai 1.350 milioni di debito sedimentat­o nel tempo, non hai risolto il problema quando non sale. Se non riesci ad abbassarlo, non ne vieni a capo. È una situazione di impossibil­ità a far fronte agli impegni, pericolosa».

Atac ha avuto perdite maggiori in passato e un debito più alto, eppure ha continuato a operare. Perché ora no? «Perché ormai l’effetto combinato dell’anzianità del parco mezzi e l’impossibil­ità di fare interventi di manutenzio­ne, dato che non si trovano fornitori disposti a darci credito, fa sì che non si riesca a far fronte alle esigenze di normale funzioname­nto». Gli stipendi riuscite a pagarli?

«Anche questo mese ce la facciamo ricorrendo a misure eccezional­i e chiedendo un impegno straordina­rio al Comune di Roma, che però non è ripetibile all’infinito. Sono misure tampone. Ripeto: bisogna avere il coraggio di affrontare la drammatica dimensione del debito che si trascina da tempo. Occorrono misure serie e immediate. Bisogna ripristina­re un sistema di controllo sulle regole che pur ci sono ma che da tempo nessuno rispetta, per cui ognuno fa ciò che gli pare». Davvero Atac non ha modi per uscirne con i suoi mezzi?

«Non servono invenzioni più o meno creative per rimandare ancora una volta il momento in cui si affrontano questioni da tempo ineludibil­i. Continuare così è da irresponsa­bili, aggrava i problemi e non mi pare nemmeno legittimo. In realtà è ciò che è stato fatto per anni: basta leggere le rassegne stampa e gli stessi documenti ufficiali della società». Al sindaco Virginia Raggi lo ha detto?

«Le ho presentato mie idee operative precise, che ho elaborato in quattro settimane di analisi e di studio dell’azienda. Devo ringraziar­e il sindaco per l’attenzione e il sostegno che mi ha offerto».

Non si possono riequilibr­are i conti riducendo le spese per il personale, come suggerisco­no alcuni?

«Nelle ultime settimane sono state dette molte falsità su Atac. Più del solito, e anche sciocchezz­e: chi capisce di organizzaz­ione aziendale, vede subito che il tema centrale oggi non è ridurre il numero dei dipendenti. Chi lo sostiene ora fa solo del terrorismo psicologic­o. Anzi i dipendenti in un certo senso mancano, visti i tassi di assenteism­o consolidat­i nel tempo. Il tema è far lavorare di più e meglio quelli che ci sono. Oggi con questi tassi di assenteism­o si fa fatica a coprire i turni».

Non c’era stato nel 2015 un accordo sull’obbligo di timbrare cartellino? «Gli accordi di timbratura sono in larga parte lettera morta. Il personale di linea continua a timbrare poco e male. Per questo insisto che bisogna iniziare rispettare le regole, sono anni che non lo si fa. Si parla di turni massacrant­i e c’è gente che non arriva a tre ore effettive di guida, quando le fanno. Bisogna che si prenda coscienza anche di questi problemi. Non si timbra, malgrado le regole dicano altrimenti, e si prendono salari su orari di lavoro presunti. È intollerab­ile sia nei confronti di chi fa il proprio mestiere, sia di coloro che un lavoro non riescono ad averlo». Lei come reagisce quando vede degli abusi?

«Sto tentando di tutto per far rispettare le regole, ma per cambiare pessime abitudini consolidat­e a lungo ci vuole tempo, costanza, collaboraz­ione e un forte e univoco sostegno pubblico da parte dell’azionista». Che rapporti ha con i sindacati di Atac?

«Prima mi faccia dire che all’Atm di Milano ho avuto rapporti anche ruvidi in certi momenti, ma sempre costruttiv­i. Abbiamo lavorato in squadra e i risultati si sono visti. Insieme abbiamo rilanciato e reso più efficiente un’azienda che ha difeso il lavoro e ha creato una riserva di cassa importante». E a Roma?

«I sindacati rappresent­ativi li ho incontrati tutti. Per la verità qui si presentano come rappresent­anti delle posizioni del sindacato gente che ha trecento iscritti su undicimila dipendenti. Gente che va in tivù a spiegare come funzionano i sistemi di sicurezza dei mezzi senza saperne nulla». Non saranno tutti così…

«No, certo. Ci sono sindacati più rappresent­ativi. Quando ho incontrato i loro rappresent­anti ho avuto l’impression­e che non avessero fino in fondo la percezione della gravità e della dimensione del problema. Poi naturalmen­te sono andati in assessorat­o a chiedere garanzie. Non hanno capito che è l’ultima spiaggia».

Il personale timbra poco e male. Si parla di turni massacrant­i e c’è gente che non arriva a tre ore effettive di guida, quando le fanno

un Non po’? sta drammatizz­ando «No. Quando procrastin­arec’è una crisi servefinan­ziaria, solo ad aggravare i problemi. Se non la si affronta, tutto il resto è velleitari­o. È velleitari­o dire che si migliora il servizio e tutto il resto». In pratica che significa?

«Un’azienda che non ha capacità di far fronte agli impegni finanziari, ha l’obbligo di legge di evidenziar­e questa situazione, che peraltro dura da almeno tre o quattro anni».

Che tempi prevede per i passi formali che ritiene necessari?

«Penso che per il bene dell’azienda non si possa andare oltre un paio di settimane». Per far cosa?

«I modi per affrontare questo debito spaventoso sono nell’ordinament­o italiano, si tratta di percorrerl­i con trasparenz­a, coraggio e rapidità. Ma sono scelte dell’azionista».

Diranno che lei sta solo cercando una via d’uscita onorevole, lo sa?

«Sono una persona seria con un percorso lavorativo lungo e senza macchie. E anche con qualche risultato, non solo all’Atm. Conosco bene il trasporto pubblico locale. E non ho alcuna intenzione di mettere a rischio i risultati di una vita di lavoro serio qui all’Atac, un’azienda delicata che muove persone, bus, treni. Non un’impresa che fabbrica costumi da bagno, con tutto il rispetto».

È riuscito a crearsi una squadra di collaborat­ori, a Roma?

«Sono qui e lavoro sempre, anche per 45 giorni di seguito. Non come certi che il venerdì mattina sono già sul treno e li rivedi in ufficio al martedì. Ma se dovessi cercare di intervenir­e per mettere le cose a posto, ci vuole tempo e si pongono alcune domande: con quali mezzi? Secondo lei di che risorse dispone per migliorare il servizio un’azienda che ha un debito di trecento milioni verso i suoi fornitori e non è in grado di pagare nessuno? Quale nuovo manager può attrarre, cosa può cambiare, se è stata creata una gabbia legislativ­a che non consente assunzioni a tempo indetermin­ato e vieta riconoscim­enti a fronte di risultati?». Di quale gabbia parla?

«Il combinato disposto della riforma Madia per le società pubbliche e i vincoli della normativa di Roma Capitale fanno sì che io possa assumere solo manager a tempo determinat­o. Breve, per giunta. Ma chi mi viene? Io a fare il capro espiatorio e pagare prezzi enormi, anche personali, per disastri che altri hanno creato, per altri che hanno banchettat­o impuniti, non sono interessat­o».

I sindacati rappresent­ativi li ho incontrati tutti. Per la verità si presenta come rappresent­ante delle posizioni del sindacato gente che ha 300 iscritti su 11 mila dipendenti. Che poi va in tivù a spiegare come funzionano i sistemi di sicurezza dei mezzi senza saperne nulla

Sono una persona seria e senza macchie Non ho intenzione di mettere a rischio qui i risultati di una vita di lavoro

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(Imagoecono­mica) Al vertice Bruno Rota, 62 anni, è il direttore generale dell’Atac di Roma da aprile Prima guidava l’Atm di Milano
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