Mattarella: ancora sei mesi per la legge elettorale No alla politica degli slogan
Cita il sistema di voto solo alla fine del discorso, dopo aver elencato le «emergenze» che abbiamo davanti. Ma, anche se evoca il tema quasi en passant, è chiaro che per lui è questo il motivo di maggior allarme. Al punto da spingerlo a giocare il suo avvertimento su un doppio registro: della censura e, insieme, della speranza malgrado tutto. Modulandolo così: «Ho esortato tante volte, ricordando il dovere del Parlamento rispetto alla centralità e delicatezza delle regole elettorali. Ecco perché esprimo rammarico per il dissolversi di un metodo di larghe intese sulle regole che devono esser comuni». Amarezza per una missione colpevolmente inevasa, dato che «rimangono tuttora nelle norme vigenti, frutto solo parziale delle scelte del Parlamento, disomogeneità e lacune». Però, e qui sta il nodo politico da sciogliere, «c’è ancora la possibilità d’intervenire».
Bisogna volerlo davvero, è il retropensiero di Sergio Mattarella, che non si rassegna all’inconcludenza delle Camere. E, usando la cerimonia del Ventaglio che tradizionalmente precede la pausa estiva, incita i partiti a colmare i passi mancanti di una legge uscita mutilata dall’esame della Consulta. Il tempo è poco, ma può bastare. Infatti — ricorda — «siamo nella fase conclusiva della legislatura, manca un semestre alla scadenza naturale (che cadrà a marzo, cioè quando ricorreranno i cinque anni dall’insediamento di quelle attuali, ndr), per cui le elezioni sono ormai vicine». E sono — aggiunge — «un momento della vita democratica da guardare con la serenità» che è garantita da «un’ampia partecipazione dei cittadini» alle urne. Un obiettivo da rafforzare — spiega — attraverso «un confronto svolto su programmi e proposte seriamente approfondite», mentre invece un confronto «caratterizzato da rissosità o che si esprimesse solo in slogan facili ma illusori allontanerebbe gli elettori». Per lui, insomma, e l’avvertimento non è rivolto solo ai populisti patentati, «occorre far di tutto perché la politica non si esaurisca nella propaganda». Altrimenti sarà fatale la punizione della gente delusa.
Ora, poiché tutto si tiene, c’è poi un altro adempimento a incalzare i leader dei partiti: la legge di stabilità. Il capo dello Stato la inserisce nel proprio memorandum di urgenze da condividere il più largamente possibile. L’Italia — rammenta — gode di una situazione economica «in crescita», con «previsioni positive» confermate da diversi fori internazionali. Una tendenza rafforzata «dalla buona notizia di un sistema bancario posto finalmente in sicurezza». La svolta è quindi compiuta? Sì e no. Non a caso sottolinea che «è necessario accompagnare questa stabilizzazione e ripresa per consentirle di consolidarsi e per assicurarci la possibilità di recuperare progressivamente le ferite sociali inferte dalla crisi». Ed è in «questo passaggio fondamentale», se per responsabilità si saprà escludere l’esercizio provvisorio, che la finanziaria e la legge di stabilità permetteranno ai mercati e all’Unione europea di valutare in concreto la «reputazione» italiana.
Questi i capitoli più esplicitamente politici dell’appello. Ad essi Mattarella affianca questioni comunque altrettanto sensibili, per l’opinione pubblica. Per esempio il dramma degli incendi che devastano il Paese e per i quali si è accertato che in molti casi sono entrati in azione i piromani. Dimostrazioni di emergenze imputabili alla «mancanza di senso civico» di alcuni cittadini. Come la «mancanza di una cultura dell’ambiente» sperimentata con la siccità o l’infamia di chi «ride pensando di speculare sul terremoti». E, infine, come il bilancio dei femminicidi, «inammissibile piaga, oltraggio alla dignità umana e alla convivenza». Questo per dire che la cosiddetta società civile sa essere spesso incivile.
Mi rammarico per il dissolversi dello spettro di una prospettiva di larghe intese sulle regole comuni Sergio Mattarella