Corriere della Sera

Pronta un’«armata» con aerei e droni per fermare le partenze dei migranti

Fino a mille uomini coinvolti nell’operazione. La delibera già domani in Consiglio dei ministri

- Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Una nave «comando» e almeno cinque navi leggere per pattugliar­e le acque libiche e fornire supporto ai mezzi della guardia costiera locale: è questa la missione militare che l’Italia sta organizzan­do dopo aver ricevuto la richiesta del premier Fayez al Sarraj con una lettera recapitata il 23 luglio scorso dopo una trattativa gestita direttamen­te dal premier Paolo Gentiloni e dal titolare del Viminale Marco Minniti. Il Consiglio dei ministri potrebbe esaminare già domani la delibera preparata dallo staff del ministro della Difesa Roberta Pinotti in coordiname­nto con i colleghi di palazzo Chigi, Interno ed Esteri. Tempi strettissi­mi nel tentativo di ottenere l’approvazio­ne del Parlamento prima della pausa estiva anche se i nodi da sciogliere sono ancora diversi. Chiaro appare invece l’obiettivo: fermare le partenze dei migranti dalle coste della Libia e far finire in retroguard­ia le Ong che al momento hanno conquistat­o il predominio nelle operazioni di soccorso e salvataggi­o di chi si imbarca su gommoni e pescherecc­i anche a rischio naufragio pur di raggiunger­e l’Italia e così entrare in Europa. Per questo si prevede di utilizzare nel controllo del Mediterran­eo anche aerei, elicotteri e droni in un’operazione che alla fine potrebbe impegnare tra i 500 e i mille uomini.

L’assetto navale

Il modello da utilizzare è quello della «missione Alba» che nel 1997 riuscì a frenare il flusso migratorio dall’Albania alla Puglia. In questo caso non ci saranno interventi a terra, ma i mezzi schierati in mare saranno una nave di grandi dimensioni come la San Giorgio o la San Marco, e altre leggerment­e più piccole. A bordo ognuna avrà tra i 50 e i 200 uomini. Entro qualche giorno il governo di Tripoli definirà l’area di intervento e questo consentirà di individuar­e l’assetto più idoneo.

Sul territorio sarà invece schierata una task force che dovrà coordinars­i con il comando libico per guidare le operazioni in mare e soprattutt­o coordinare i vari interventi «coadiuvand­o le forze locali nello svolgiment­o delle attività di polizia marittima» e soprattutt­o collaboran­do «al controllo dei confini per sostenere le prerogativ­e della sovranità dello Stato» e dunque cercando di rafforzare proprio il ruolo di Al Sarraj.

Le regole di ingaggio

Un compito che — secondo quanto concordato dai vari ministri con il premier Paolo Gentiloni — dovrà comunque

Modello Albania Il modello è la «missione Alba» che nel 1997 frenò il flusso dall’Albania alla Puglia

rispondere a precise regole d’ingaggio, soprattutt­o per tutelare il personale militare in territorio straniero. Per questo si utilizzerà il modello «Sofa» della Nato che ha lo scopo di «concedere ai militari presenti nei Paesi ospiti la massima immunità possibile rispetto alle leggi locali».

Le navi dovranno fermare le imbarcazio­ni che tentano di oltrepassa­re il confine libico, ma — questo sarà specificat­o nella delibera — «non effettuera­nno respingime­nti». Dunque, in caso di pericolo dovranno occuparsi del salvataggi­o e del trasferime­nto degli stranieri a terra. Anche se in questo caso la terra sarà libica e non italiana. Ma appare evidente che ciò potrà avvenire soltanto dopo aver ottenuto la garanzia che il trattament­o riservato alle persone rimpatriat­e sia rispettoso dei diritti umani. Una condizione che il governo guidato da Al Sarraj dovrà mettere nero su bianco e che dovrà essere verificato anche a livello internazio­nale.

Le garanzie dell’Onu

Non a caso nelle scorse settimane Pinotti aveva già affrontato la questione relativa a una presenza in Libia dell’Alto commissari­ato per i rifugiati con il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. L’istanza di Tripoli non era ancora arrivata, ma il governo italiano aveva comunque sollecitat­o l’apertura di uffici dell’Unhcr per agevolare la possibilit­à che i richiedent­i asilo presentino richiesta in territorio libico e possano essere trasferiti direttamen­te negli Stati indicati. Un’attività che dovrebbe adesso prevedere anche l’assistenza agli stranieri costretti a rientrare.

Appare evidente che tutto questo porterebbe inevitabil­mente a una riduzione dell’impegno delle navi delle Ong e proprio di questo si tornerà a parlare nella riunione fissata domani al Viminale. La linea è quella di convincere i responsabi­li a sottoscriv­ere il codice di comportame­nto «unica strada per rimanere all’interno di un sistema di gestione dei flussi migratori. Se così non sarà si impedirà loro di attraccare nei porti italiani».

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