Niente baratti con l’Europa
Caro Aldo, la Slovacchia può avere l’Ema (Agenzia europea per il farmaco) se i Paesi dell’accordo di Visegrad si prendono i migranti previsti! Qual è il suo parere?
Giuseppe Selva
Caro Giuseppe. penso che i baratti non portino mai bene. Giusto che una vera capitale europea come Milano sia sede dell’ente che vigila sui farmaci, e che l’Europa faccia la sua parte sui migranti.
VACCINAZIONI
«Renderle obbligatorie per il personale sanitario» Sono padre di due bambini piccoli, uno dei quali immunodepresso, e scrivo riguardo all’approvazione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale, in discussione in questi giorni alla Camera, dopo averne seguito l’iter in Senato. Di tutti i punti ambigui, oscuri e lacunosi relativi a questo decreto legge, uno è davvero eclatante quanto sottaciuto: il mancato inserimento dell’obbligo di vaccinazione per tutto il personale sanitario, medici e infermieri, a contatto con i pazienti. Nel bollettino relativo all’«epidemia» di morbillo del ministero della Salute, si legge che oltre il 70% dei contagi sono a carico di persone adulte, oltre i 16 anni, quindi al di fuori dell’obbligo vaccinale introdotto dal ministro Lorenzin. Ma, soprattutto, quasi il 10% dei casi riguardano operatori sanitari. Dal momento che il ministro sostiene che l’iniziativa è stata messa in opera per tutelare i bambini immunodepressi non vaccinabili perché malati, mi piacerebbe sapere dove ha intenzione di mandare a curarsi questi bimbi, dato che gli ospedali saranno i luoghi meno indicati, per la pervasiva presenza di persone non immunizzate da vaccino (e massicciamente sottoposte a pericolo di contagio, perché a contatto quotidiano con i ricoverati aventi patologie infettive). Il problema è stato sollevato tempo addietro dal presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi. Sarebbe bene che la Camera, prima della approvazione, affrontasse il problema.
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
la comunicazione del Pd è quanto meno maldestra. Non è solo il vocabolo «razza», usato dall’on. Patrizia Prestipino, a far venire i brividi, ma il ragionamento complessivo. In futuro i discendenti di chi è arrivato in passato saranno italiani. E poi come stabilire il tasso di italianità di ciascuno?
Cara Brunella,
Ricordo un passo di «Sostiene Pereira», il capolavoro di Antonio Tabucchi, in cui si spiegava l’inesistenza di una «razza portoghese», essendo il Portogallo terra di passaggi e di incroci. Lo stesso vale per noi italiani, miscuglio di celti e romani, goti e greci, longobardi e arabi, e altri popoli ancora; e la nostra bellezza sta proprio nella nostra diversità e complessità. Questo non significa non essere orgogliosi delle proprie radici, anzi. Se non esiste in tutto il pianeta un Paese che conservi tanta cultura e bellezza create dall’uomo, è segno che noi italiani non siamo poi così male.
Detesto la parola razza. Qualcuno vorrebbe cancellarla dalla nostra Costituzione. Però nell’articolo 3 ha un senso. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»: un testo che rappresenta il capovolgimento del fascismo. Che discriminò le donne, impose l’apartheid nell’Africa italiana, non riconobbe le minoranze linguistiche, perseguitò gli ebrei, gli oppositori politici, gli omosessuali.
Non c’è dubbio che l’on. Prestipino abbia sbagliato a dire «razza italiana». Che a farlo sia stata un’esponente della sinistra conferma la confusione che alberga in quel campo. Tuttavia, al netto delle parole, il problema che viene posto esiste. Siamo il Paese al mondo che fa meno figli. L’idea di sostituire i bambini che gli italiani non vogliono o non possono più fare con i migranti è aberrante. Mi sono preso la mia dose di insulti per aver scritto che lo slogan «non esistono negri italiani» è il manifesto del nuovo razzismo. Certo che esistono neri italiani. Ma voglio vivere in un Paese in cui una giovane coppia è libera di fare tutti i figli che desidera, senza dover rinunciare perché non ha un reddito per mantenerli e una casa dove crescerli. Questo non è razzismo. È politica sociale.