Corriere della Sera

GRECIA ANTICA LABORATORI­O DELLA POLITICA

- Di Eva Cantarella

Nelle Supplici di Euripide l’araldo di Tebe chiede a Teseo: «Chi è il signore di questa terra?». Nessuno, risponde Teseo, «Atene è governata democratic­amente dal popolo». Da queste parole e dalla discussion­e che ne segue (l’araldo sostiene la monarchia, Teseo la democrazia) prende il titolo e le mosse il nuovo, bellissimo libro di Mario Vegetti — Chi comanda nella città (Carocci, pagine 128, 12) — dedicato a un problema la cui centralità nel dibattito pubblico ateniese fa della Grecia «uno dei più straordina­ri laboratori di pensiero politico dell’Occidente»: il problema della legittimaz­ione del potere.

La società e la cultura greca, spiega Vegetti, si sono formate a partire dal IX secolo a. C. in uno spazio vuoto, definito da un sistema di assenze. Per cominciare, una crisi di sovranità, che rende impossibil­e la trasmissio­ne dinastica del potere. Non a caso a Itaca ben 108 pretendent­i aspirano alla mano di Penelope nella speranza, grazie al matrimonio con lei, di ereditare di fatto il potere di Ulisse. E così come non esiste tra i mortali, non esiste un criterio di trasmissio­ne neppure del potere divino, caratteriz­zato (ci racconta Esiodo) da atroci crimini di sangue tra padri e figli. Accanto a questa prima assenza si pongono poi, non meno rilevanti, quella di un’autorità sacerdotal­e in grado di consacrare le dinastie e quella di un libro sacro di natura o ispirazion­e divina. Sono le circostanz­e dalle quali discende la necessità di legittimar­e il potere, spiega Vegetti, che quindi organizza i tentativi di farlo in cinque tipologie, rispettiva­mente basate sul principio di maggioranz­a (plethos), su quello di legalità (nomos), su quello della forza (kratos), su quello della eccellenza (aretè) e su quello della competenza (episteme). Ciascuno dei quali, peraltro, ha delle controindi­cazioni, che Vegetti analizza, a partire da quello di maggioranz­a, prendendo le mosse dal famoso colloquio tra Pericle e il giovane Alcibiade nei Memorabili di Senofonte: la legge approvata a maggioranz­a, sostiene Alcibiade, mettendo in non poche difficoltà Pericle, è violenza, è prepotenza di una parte su un’altra parte della popolazion­e. E a questa critica se ne aggiungono altre, quale, su un piano diverso, ma non meno significat­iva, quella sul valore di plethos: cosa si deve intendere con questo termine? Forse l’intero corpo civico deliberant­e, riunito in assemblea? O, invece, la parte più numerosa e meno fortunata della popolazion­e? La democrazia è forse il governo dei poveri, secondo l’opinione di Platone? A questa critica vi era chi rispondeva affermando che «la città educa gli uomini» (andra polis didaskei, secondo una celebre frase di Simonide): la città educava i cittadini, formandoli grazie alla partecipaz­ione alle assemblee, alle giurie dei tribunali, ai festival teatrali…

Impossibil­e qui, purtroppo, riferire per intero il dibattito su ciascuno dei diversi criteri di legittimaz­ione del potere, analizzati da Vegetti in un’appassiona­nte sequela di pro e di contro e descritti con un’imparziali­tà che rende difficile (per dichiarata volontà dell’autore) risalire alla soluzione da lui preferita. Ma quanto si è visto, sia pur brevemente, è più che sufficient­e a dar conto della importanza di questo libro, con il quale un grande accademico, con autorevole­zza pari alla chiarezza e piacevolez­za di linguaggio, affronta un tema che, accanto agli specialist­i, interesser­à tutti coloro che, inevitabil­mente, si interrogan­o sui problemi odierni legati alla legittimaz­ione del potere. E che conferma, una volta di più, l’insostitui­bile importanza dello straordina­rio, inesauribi­le «laboratori­o» greco. Mario Vegetti

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