Corriere della Sera

Mac(ca)ron

- di Massimo Gramellini

Il mio eroe nazionale ha un cappello da cuoco come elmo e un grembiule di cucina per corazza. Si chiama Maurizio Landi ed è stato licenziato da un ristorante francese perché si rifiutava di servire la pasta scotta. Quegli originalon­i hanno il vezzo di tagliare la pastasciut­ta con il coltello e perciò pretendono di trattarla come se fosse la nostra classe dirigente: moscia e senza carattere.

Si ostinano a stravolger­ci l’identità. Pensate — e il solo scriverlo suscita un moto di disgusto — che ordinavano gli spaghetti al ragù. Ma il Landi fieramente si opponeva, trasforman­do i fornelli in barricate: con il ragù ci vogliono le tagliatell­e, non gli spaghetti. Allora gli infingardi aspettavan­o il suo giorno di riposo per estrarre proditoria­mente dal frigo il ragù e spalmarlo sui loro insulsi vermicelli di colla.

Sono fatti così. Vogliono francesizz­are tutto, mica solo lo spaghetto. Prendete il Macron. Si è insediato con l’Inno alla Gioia, ma ci è bastato poco per capire che la gioia era soltanto la sua. Al confronto Renzi ha l’ego di un moscerino e Sarkozy quello di una carmelitan­a scalza. Con i migranti bisogna fare a modo suo, e così nei cantieri, che maccaroniz­za a giorni alterni come le targhe. E noi buoni, pazienti e gentili, a volte persino troppo: gentiloni. Sguainando il suo mestolo, il prode Landi indica la rotta: rivendicar­e la qualità delle ricette italiane. Senza permetterg­li di francesizz­are, dopo il ragù, anche le coste libiche e le nostre ultime aziende al dente.

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