Corriere della Sera

IL DECLINO DEI LEADER (POLITICI)

- Di Giuseppe De Rita

Èormai quasi una certezza, dopo qualche mese di contraddit­toria incubazion­e, la rapida decadenza di quell’intreccio fra verticaliz­zazione e personaliz­zazione della politica che ha caratteriz­zato da quasi venticinqu­e anni la vita pubblica italiana: un intreccio che ha purtroppo dato origine anche a qualche tentazione di protagonis­mo personale. È proprio tale protagonis­mo che oggi entra in sostanzial­e declino, nella costituzio­ne del declinante carisma di alcuni politici con forte vocazione al primato personale, da Renzi a Grillo, a Salvini; ma non dimentican­do peraltro che tutta la Seconda Repubblica ha consumato (e talvolta sotterrato) fior di protagonis­ti della personaliz­zazione della politica, da Segni a Occhetto, da Bossi a Bersani, da D’Alema a Monti; e per certi versi anche Berlusconi e Prodi, due leader ancora in campo, ma consapevol­i di non poter più dominare la dinamica politica. C’è, in altre parole, un sovrappors­i «in calando» di storie personali, di vicende istituzion­ali, di delusioni collettive sulla verticaliz­zazione e la personaliz­zazione della politica. Molti amano pensare che tale generalizz­ato declino sia dovuto ad una oggettiva povertà culturale di quella galleria di personaggi che per anni hanno cavalcato il citato intreccio. Va però detto che essi hanno sì commesso vari errori personali, ma la loro colpa più grave è stata quella di non aver capito che sul medio periodo la personaliz­zazione della politica sbatte, dopo gli iniziali entusiasmi carismatic­i, contro due difficoltà radicali.

SEGUE DALLA PRIMA

In primo luogo, sbatte contro una società i cui complessi problemi mal si prestano ad essere governati con cultura e decisioni di vertice, solo che si pensi alla totale orizzontal­ità delle due maggiori questioni del momento: i flussi migratori e i processi di crescita dell’export. In fondo, l’ultima grande operazione di vertice l’abbiamo fatta con il governo Monti per contrastar­e l’impennata dello spread; poi siamo tornati a fare i conti con una società liquida o molecolare, che vive — e va governata — con dinamiche tutte orizzontal­i.

Ma c’è una seconda radicale difficoltà per coloro che verticaliz­zano e personaliz­zano i processi politici, e sta nella loro quasi coatta propension­e a spostare sempre più in alto la propria soglia di responsabi­lità, inavvertit­amente spostandos­i verso la propension­e alla centralità dell’impegno mediatico. Così si rischia di passare dal fuoco del decisionis­mo al fumo delle battaglie d’opinione, con sempre più scarsi spazi di decisional­ità (si pensi solo a quanta poca concretezz­a sia stata applicata ad una tematica drammatica come la legalità, sommersa in decine di eventi mediatici, interviste, saggi, convegni, treni, navi della legalità, ecc.).

Se la politica ai livelli alti diventa protagonis­mo mediatico, si può convenire che ha stancato e non se ne sente il bisogno. Ma non è detto che l’avvicinars­i della campagna elettorale non riapra la lista di politici che, tramite un po’ di protagonis­mo mediatico, aspirino a diventare leader di vertice.

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