Scontro sull’Atac E scoppia il caso delle segnalazioni
La battaglia sull’Atac diventa incandescente. Il j’accuse del direttore generale, Bruno Rota, sullo stato disastroso dell’azienda ha provocato durissime reazioni in Campidoglio. Contro Rota si scagliano alcuni consiglieri. Il dg replica a Enrico Stefàno: «Più che di dirigenti da cacciare, lui, e non solo lui, mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti». Il Pd romano intanto chiede un consiglio straordinario e le dimissioni di Stefàno da tutti gli incarichi istituzionali.
Le ultime fasi di un braccio di ferro sotterraneo che dura da giorni si consuma nell’ufficio della sindaca Virginia Raggi ieri a mezzogiorno. Bruno Rota nei giorni scorsi le aveva chiesto un incontro urgente, convocato prima per venerdì e poi anticipato di due giorni. Alla vigilia del summit, la sindaca si sveglia con le interviste al Corriere e al Fatto Quotidiano, nelle quali il dg di Atac disegna un quadro dell’azienda devastante, chiedendo decisioni immediate all’amministrazione romana. Una sorta di aut aut. Alla riunione, Rota si trova di fronte gli assessori Massimo Colomban e Linda Meleo. La sindaca? Assente. Le ore successive fanno precipitare una situazione ormai compromessa. La Meleo è infuriata. Sulle agenzie piovono critiche durissime a Rota, che risponde a muso duro. Nel pomeriggio Raggi ha sul tavolo una nota che dà il benservito a Rota, definendo «esaurito il rapporto di fiducia». La nota, però, torna nel cassetto. Rota, nel frattempo, non ha alcuna intenzione di dimettersi, anche se non vede l’ora di tornarsene a Milano.
Per capire le origini dell’ennesima rottura che si consuma all’ombra dei 5 Stelle al Campidoglio, bisogna tornare indietro a qualche settimana fa. Il 28 giugno, a oltre due mesi dal suo arrivo, Rota ottiene finalmente i pieni poteri. Studiate le carte, si rende conto che la situazione è drammatica, peggiore del previsto. Il debito è catastrofico (la banca più esposta è di gran lunga Unicredit) e i fornitori non fanno più credito. Sono a rischio la manutenzione dei mezzi e gli stipendi dei lavoratori. Il mese scorso i soldi si trovano miracolosamente pochi minuti prima della scadenza. Questo mese gli stipendi vengono pagati solo perché il Comune anticipa i soldi del contratto di servizio della seconda metà dell’anno. E a settembre? Per Rota non c’è più tempo da perdere, bisogna portare i libri in tribunale. Serve un concordato preventivo, una ristrutturazione dei debiti che consentirebbe la continuità dell’azienda.
Per farlo, Rota ha bisogno del via libera dell’azionista dell’Atac: il Comune di Roma. Parla con Raggi più volte. La sindaca è possibilista, si pensa anche a una data per convocare l’assemblea degli azionisti. Ma il tempo passa. La sindaca è riluttante. Il concordato preventivo non è una passeggiata, può essere visto come una resa e ha costi sociali e politici da non sottovalutare, con una campagna elettorale in arrivo. Grillo e Casaleggio non è detto che apprezzerebbero. E a Roma i 5 Stelle non danno l’impressione di fare una guerra santa all’assenteismo e a certi corporativismi sindacali. Rota teme di finire incastrato in una macchina nella quale è appena salito. «Non voglio fare il capro espiatorio», dice. Teme conseguenze legali che ricadono sugli amministratori. E i tempi sono strettissimi. Per il concordato servono consulenze e studi tecnici. Si rischia di far tardi. Rota decide di far cadere la maschera. Il re è nudo. Nella speranza di un colpo di reni dell’amministrazione, il dg dell’Atac riserva parole concilianti a Raggi, che ringrazia per il sostegno.
Ma non basta. L’irritazione al Campidoglio è ai massimi livelli. Parte l’attacco feroce di Enrico Stefàno, che accusa Rota di non aver «rimosso i dirigenti» responsabili del disastro e di non aver fatto quasi nulla in tre mesi, nonostante avesse «carta bianca». Stefàno è lo stesso che pochi giorni fa aveva detto: «È chiaro che con i mezzi pubblici a Roma aspetti tanto. Ma puoi leggere un libro, guardare una email». La risposta di Rota è un fiammifero acceso su un mare di benzina. Stefàno avrebbe chiesto di «promuovere» alcuni giovani, «i soliti noti», caldeggiando un’azienda, la Conduent, che si occupa di bigliettazione. Per molto meno altri esponenti 5 Stelle sono finiti «in Siberia».
Negli uffici di Raggi si medita la mossa giusta. Oltre all’Atac, c’è un’altra spada di Damocle: l’Ater che rischia il default. Ci si aggiunge la questione dell’acqua razionata e il pentolone rischia di scoppiare. Tra i dirigenti locali si accusa Rota: «Ha detto cose false e non sa fare gioco di squadra». Si respinge l’accusa di non volere il concordato preventivo: «Siamo gli unici ad averlo fatto, con l’Aamps, la partecipata dei rifiuti di Livorno». Ma le accuse lasciano spazio a un dubbio, che serpeggia tra i 5 Stelle: «Siamo venuti qui per fare la rivoluzione. Non possiamo galleggiare: è il momento di fare delle scelte».
La sindaca ieri era pronta a definire esaurita la fiducia Poi il ripensamento I magistrati della Procura di Roma indaghino sulle parole di Rota sui raccomandati Michele Anzaldi