Consenso e responsabilità
L’estate difficile della sindaca Virginia Raggi. Acqua, fuoco e ora il ferro sembrano congiurare contro di lei. Ma Roma non può essere sopraffatta.
L’acqua, il fuoco e ora il ferro: gli elementi sembrano congiurare contro Virginia Raggi. Non è l’estate che s’aspettava, la sindaca di Roma. Avrebbe sperato, comprensibilmente, in un luglio che scivolasse lento verso le ferie: la sonnolenza calda di una Capitale con quasi tutti i suoi problemi irrisolti, è vero, ma che poi, indossando il costume e spalmandosi di creme, fosse pronta a dimenticare tutto con un tuffo nel blu. Invece sono scoppiati gli incendi; e poi la siccità, che s’è portata dietro, non previsto, il feroce corpo a corpo tra Regione e Acea, brandendo ognuno ordinanze e minacce di razionamento (thriller ancora in corso). Infine, il ferro. Cioè i tram, il metrò, le rotaie. Un caso scoppiato con un’intervista choc del direttore generale dell’Atac, il piemontese Bruno Rota, manager giunto a Roma sull’onda degli impeccabili risultati ottenuti a Milano con l’Atm. Che cosa ha detto Rota a Federico Fubini del Corriere della Sera? Semplicemente quello che da tempo era a conoscenza dei vertici del Campidoglio: la grande municipalizzata romana è sull’orlo del crac, sepolta da un miliardo e mezzo di debiti e avvilita dall’inefficienza di mezzi e personale. E ha aggiunto: stando così le cose, c’è la possibilità che a settembre non si possano
pagare gli stipendi agli undicimila dipendenti.
Come uscirne? Una soluzione c’è: congelare la crisi facendo ricorso al Tribunale. Rota non lo dice, ma sul piatto c’è la forte ipotesi di un concordato preventivo che permetterebbe all’azienda di proporre ai creditori un bel taglio delle somme spettanti. Oltre a questo, l’azienda potrebbe immaginare un concordato «con affitto». Cioè, creare una Atac 2, libera da debiti pregressi, che paghi il noleggio dei mezzi all’Atac, e che incassi i proventi dei biglietti. Un modo per lasciare all’azienda
originaria sia la proprietà del parco bus-metro, sia i debiti, lavorando a Roma con un’azienda nuova, decisamente leggera.
Il ricorso al Tribunale va fatto con un piano serio di rientro che dovrebbe essere vagliato dagli esperti nominati dai magistrati. E da quel momento, se scattasse il concordato, ogni azione sul patrimonio dell’Atac (vendite, dismissioni varie) avverrebbe sotto il controllo della magistratura, a massima garanzia di correttezza e trasparenza.
Per avviare un’azione di tale portata, però, è necessario il consenso politico. Virginia Raggi, in quanto titolare del cento per cento dell’Atac, si trova quindi, per la prima volta da quando è seduta in Campidoglio, davanti a due pulsanti di straordinaria rilevanza. Uno verde, uno rosso: sì o no. E dalla sua decisione dipenderà il destino di undicimila lavoratori e di un’azienda, oltre che dei romani che quell’azienda, malgrado tutto, usano ogni giorno per spostarsi in città.
La sindaca ha avuto un grande consenso, il 60 per cento dei romani l’ha scelta. Ora tocca a lei restituire quella fiducia, assumendosi responsabilità, e pure in fretta. Acqua, fuoco e ferro. Roma ha dominato per secoli e secoli gli elementi della natura. Non possiamo esserne sopraffatti nell’estate del 2017, vero sindaca Raggi?