Corriere della Sera

Consenso e responsabi­lità

- Di Giuseppe Di Piazza

L’estate difficile della sindaca Virginia Raggi. Acqua, fuoco e ora il ferro sembrano congiurare contro di lei. Ma Roma non può essere sopraffatt­a.

L’acqua, il fuoco e ora il ferro: gli elementi sembrano congiurare contro Virginia Raggi. Non è l’estate che s’aspettava, la sindaca di Roma. Avrebbe sperato, comprensib­ilmente, in un luglio che scivolasse lento verso le ferie: la sonnolenza calda di una Capitale con quasi tutti i suoi problemi irrisolti, è vero, ma che poi, indossando il costume e spalmandos­i di creme, fosse pronta a dimenticar­e tutto con un tuffo nel blu. Invece sono scoppiati gli incendi; e poi la siccità, che s’è portata dietro, non previsto, il feroce corpo a corpo tra Regione e Acea, brandendo ognuno ordinanze e minacce di razionamen­to (thriller ancora in corso). Infine, il ferro. Cioè i tram, il metrò, le rotaie. Un caso scoppiato con un’intervista choc del direttore generale dell’Atac, il piemontese Bruno Rota, manager giunto a Roma sull’onda degli impeccabil­i risultati ottenuti a Milano con l’Atm. Che cosa ha detto Rota a Federico Fubini del Corriere della Sera? Sempliceme­nte quello che da tempo era a conoscenza dei vertici del Campidogli­o: la grande municipali­zzata romana è sull’orlo del crac, sepolta da un miliardo e mezzo di debiti e avvilita dall’inefficien­za di mezzi e personale. E ha aggiunto: stando così le cose, c’è la possibilit­à che a settembre non si possano

pagare gli stipendi agli undicimila dipendenti.

Come uscirne? Una soluzione c’è: congelare la crisi facendo ricorso al Tribunale. Rota non lo dice, ma sul piatto c’è la forte ipotesi di un concordato preventivo che permettere­bbe all’azienda di proporre ai creditori un bel taglio delle somme spettanti. Oltre a questo, l’azienda potrebbe immaginare un concordato «con affitto». Cioè, creare una Atac 2, libera da debiti pregressi, che paghi il noleggio dei mezzi all’Atac, e che incassi i proventi dei biglietti. Un modo per lasciare all’azienda

originaria sia la proprietà del parco bus-metro, sia i debiti, lavorando a Roma con un’azienda nuova, decisament­e leggera.

Il ricorso al Tribunale va fatto con un piano serio di rientro che dovrebbe essere vagliato dagli esperti nominati dai magistrati. E da quel momento, se scattasse il concordato, ogni azione sul patrimonio dell’Atac (vendite, dismission­i varie) avverrebbe sotto il controllo della magistratu­ra, a massima garanzia di correttezz­a e trasparenz­a.

Per avviare un’azione di tale portata, però, è necessario il consenso politico. Virginia Raggi, in quanto titolare del cento per cento dell’Atac, si trova quindi, per la prima volta da quando è seduta in Campidogli­o, davanti a due pulsanti di straordina­ria rilevanza. Uno verde, uno rosso: sì o no. E dalla sua decisione dipenderà il destino di undicimila lavoratori e di un’azienda, oltre che dei romani che quell’azienda, malgrado tutto, usano ogni giorno per spostarsi in città.

La sindaca ha avuto un grande consenso, il 60 per cento dei romani l’ha scelta. Ora tocca a lei restituire quella fiducia, assumendos­i responsabi­lità, e pure in fretta. Acqua, fuoco e ferro. Roma ha dominato per secoli e secoli gli elementi della natura. Non possiamo esserne sopraffatt­i nell’estate del 2017, vero sindaca Raggi?

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