Ma la partita non è chiusa
Toni duri ma la partita non è chiusa. L’ipotesi di un percorso a tappe per arrivare al 51%
Il segnale che, nonostante i toni, la partita tra Roma e Parigi è aperta sta in una visita: quella che martedì il ministro dell’Economia francese farà ai colleghi italiani Padoan e Calenda.
Se i toni, oltre che i contenuti delle posizioni di Francia e Italia, dovessero restare quelli degli ultimi giorni, non ci sarà alcuna possibilità di accordo sul futuro dei cantieri Saint-Nazaire. Ma allora perché il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha deciso di venire martedì a Roma per incontrare i ministri dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e dello Sviluppo, Carlo Calenda? La partita, evidentemente, non è chiusa.
Stx France ha bisogno di un partner industriale di prima grandezza, dopo che i coreani Offshore & Shipbuilding che la controllavano al 66,7% l’hanno fatta finire in amministrazione controllata. E Fincantieri non ha alcun interesse a veder sfumare l’acquisizione dei cantieri, che consoliderebbero la leadership internazionale del gruppo pubblico italiano.
Certo, sono di una insolita durezza i toni usati ieri da Calenda e Padoan nella nota congiunta con cui hanno risposto alla conferenza di Le Maire che confermava l’impossibilità dell’accordo se Fincantieri non rinuncerà a prendere la maggioranza assoluta di Stx. Espressioni come «grave e incomprensibile la decisione del governo francese» e l’avvertimento che «nazionalismo e protezionismo non sono basi accettabili» su cui discutere, lascerebbero pensare alla rottura. Ma la drammatizzazione spesso prelude all’intesa.
In questo caso, Francia e Italia dovrebbero entrambe salvare la faccia sul punto cruciale: il controllo maggioritario di Stx. Che per Fincantieri è scontato sia italiano, sulla base dell’accordo preliminare, mentre il presidente francese Macron, che nei cantieri ha fatto campagna elettorale, ha deciso che al massimo si può fare 50% all’Italia e 50% alla Francia.
Come uscirne? Una delle ipotesi che circolano parla di un percorso a tappe: la parte italiana comincia col 50% ma in un tempo definito può salire. Nel frattempo verrebbero regolate alcune questioni, dalle maggiori garanzie che Parigi vuole sui posti di lavoro alla protezione delle tecnologie (soprattutto militari) rispetto ad altre società (Fincantieri ha una joint venture con la cinese Cssc). Non a caso ieri fonti dell’Eliseo hanno fatto trapelare che quella francese è una «decisione transitoria» e che un «grande spazio» è previsto per Fincantieri.
Una rottura, del resto, sarebbe pesante. Il governo Gentiloni (ieri il premier si è sentito al telefono con lo stesso Macron) rivendica la linearità della posizione italiana: Fincantieri è intervenuta su richiesta francese; la decisione di Parigi di rompere il patto si spiega forse con esigenze politiche interne (le autorità della regione dei cantieri Saint-Nazaire sono per la nazionalizzazione e sostengono Macron) ma contraddice la linea di difesa del libero mercato del nuovo presidente.
Insomma, un errore strategico, quello di Macron. Al quale, però, Roma non risponderà sullo stesso piano, in caso di rottura. Niente ritorsioni. Per esempio sulla rete telefonica di Tim, controllata dai francesi di Vivendi, come chiesto ieri dal presidente del Pd, Matteo Orfini. Toni minacciosi, smorzati però da Matteo Renzi, che ieri sera ha deciso di annullare un’intervista alla radio prevista per oggi, «per evitare polemiche col governo». La rottura, alla fine, non conviene a nessuno. Se i toni si abbasseranno, la missione di Le Maire a Roma non sarà inutile.