Così l’autista sparisce tra malattie e barbiere
C’è chi inizia il turno a 34 km da dove si mette alla guida: un’ora su sei persa nei trasferimenti
Il badge viene strisciato nella rimessa Atac di Tor Pagnotta, a Roma sud, ma il turno inizia in quella di Montesacro, quadrante nord della città. La distanza è di 34 chilometri, di prima mattina servono circa 45’ in auto approfittando delle strade semilibere della Capitale. E la sera, stesso percorso al contrario: il lavoro termina a Montesacro ma la timbratura di fine servizio avviene a Tor Pagnotta. In tutto fa un’ora e mezzo solo per gli spostamenti, traffico permettendo altrimenti i tempi si dilatano. E considerato il turno di sei ore e dieci minuti degli autisti, si calcola che Atac paga l’autista in questione circa il 25% in più ottenendo il 25% del lavoro in meno. È uno dei paradossi che caratterizzano la maxi partecipata dei trasporti della Capitale, azienda che, secondo il dg Bruno Rota, è «schiacciata dai debiti» e anche piuttosto libera nell’interpretazione delle regole.
Assenteismo record
In Atac «si timbra poco e male», dice Rota alludendo sia ai tassi dell’assenteismo sia alla procedura della timbratura autocertificata. Sulle assenze dal lavoro degli 11.590 dipendenti Atac i dati sono eloquenti e in netta crescita: ogni giorno restano a casa 12 lavoratori su cento con un incremento di quasi il 10% rispetto all’anno precedente. Quelli che restano a casa per malattia sono quasi il 6%, oltre il 20% in più rispetto alle stime del 2015. I più assenti sono i tecnici a supporto del servizio (17,8%), seguono gli ausiliari della mobilità (16,4%), i macchinisti (12,4%), gli autisti (11,9), gli impiegati (11,4%) e gli operai (9,7%). I numeri sono tutti in aumento.
L’autocertificazione
Sulla timbratura è necessario fare dei distinguo. I 1.450 impiegati e i 1.700 operai, per esempio, sono obbligati a strisciare il badge. I 5.832 tra macchinisti della metro e autisti di bus e tram, invece, hanno generalmente facoltà di scelta: o timbrano e poi si mettono in macchina per raggiungere il posto di lavoro, talvolta lontanissimo, oppure autocertificano entrata e uscita dal servizio in regime di discrezionalità totale. Una sorta di autogestione su cui l’azienda non può esercitare il minimo controllo, tanto che l’ad Manuel Fantasia ha deciso nelle scorse settimane di sopprimere il servizio barbiere aziendale (ce ne sono due nei depositi di Tor Vergata e Tor Sapienza) perché in tanti timbravano solo dopo un passaggio dal coiffeur. E quando, in passato, si è provato a stabilire l’obbligo di timbratura anche per macchinisti e autisti, la risposta è stata un’impennata di assenze per malattia.
L’opzione diniego
C’è anche l’opzione diniego per il macchinista o l’autista di turno a complicare una situazione già complessa. Gli specchietti non a norma, il cattivo odore all’interno della cabina, una spia che non si illumina come dovrebbe: spesso sono causa di un no a entrare in servizio. La segnalazione viene inoltrata all’azienda che decide se è il caso di far proseguire il servizio, sopprimere la corsa o sostituire il macchinista che ha espresso il diniego. Che, nel caso, torna a casa dopo il viaggio a ritroso per timbrare il cartellino.
I conti in rosso
Sempre meno dipendenti al lavoro e servizio sempre più difficile da erogare. La costante sono i circa 550 milioni che Atac spende per il personale di cui solo una parte torna all’azienda come prestazione professionale. Costi che riducono il margine di manovra sulla gestione ordinaria, soprattutto sulla manutenzione del parco mezzi che ha un’età media di 12 anni. Anche questo spiega il perché dei tanti guasti, dei chilometri persi e delle corse soppresse, tutti dati segnati in rosso nell’ultimo rapporto della «Direzione operazioni Atac» sul contratto di servizio con il Campidoglio. Sulle vetture che ogni giorno rimangono in deposito per manutenzione o per mancanza di pezzi di ricambio il dato è pesante: la media è del 36%. E visto che il Comune paga Atac in base al servizio erogato, la perdita vale milioni di euro.
I chilometri persi
Nel 2016 le tre linee della metropolitana hanno perso per strada 982.324 chilometri , pari a circa 80 mila corse soppresse. Le linee di superficie hanno percorso 12.671.859 chilometri in meno rispetto al 2015 (-12,7%), le corse soppresse ammontano a 1.023.496. Numeri doppi rispetto al 2015, come si legge nel report interno dell’azienda: «Rispetto allo scorso anno, le soppressioni risultano in forte aumento (+48%). La crescita maggiore si evidenzia per le voci «guasti vetture» (+194.835 corse perse) e incidenti (+62.578)». Tra le cause la «mancanza di materiali» è la prima. Segue la «mancanza di personale». Che c’è ma non si vede.