«Cittadini Ue a Londra: dal 2019 stop alla libertà di movimento» Caos in casa May
Il caos sembra ormai essere la parola chiave della Brexit. Almeno nel governo di Theresa May. Ieri è stato il ministro dell’Immigrazione Brandon Lewis a gettare altro fumo sul tavolo dei negoziati, dichiarando che la libertà di movimento dei cittadini (e quindi dei lavoratori) dell’Unione europea verso la Gran Bretagna avrà fine nel marzo 2019, ossia con l’uscita formale del Regno dalla Ue. Poche ore dopo, la ministra dell’Interno Amber Rudd ha corretto il tiro spiegando che i «nuovi» lavoratori comunitari dovranno «registrarsi», almeno finché il sistema post Brexit non sarà definito.
«Dobbiamo continuare ad attrarre i migliori e più brillanti migranti da tutto il mondo», ha scritto la Rudd sul Financial Times. Approfittando forse dell’assenza di May (in vacanza) e del segretario agli Esteri Boris Johnson (in Australia), nell’ultima settimana i ministri della «linea morbida» — oltre a Rudd, il cancelliere Philip Hammond e il segretario al Commercio Greg Clark — hanno ribadito che l’economia e i posti di lavoro sono prioritari. Difficile però che riescano a rassicurare la Confindustria britannica (Cbi), che proprio ieri ha ricordato di aver bisogno «urgentemente» di sapere quali saranno le politiche migratorie nei confronti della Ue.
Ad aumentare lo sconforto degli imprenditori
Bruxelles pensa a un rinvio Il capo negoziatore Ue, Barnier, minaccia di far slittare i tempi della trattativa poiché Londra non vuole pagare «il conto del divorzio»
è arrivata anche l’ammissione del governo (sempre Lewis) che il rapporto sui costibenefici dei lavoratori della Ue per l’economia britannica non sarà pronto prima del settembre 2018, cioè proprio quando, secondo il ministro, in Parlamento approderà la nuova legge sull’Immigrazione e appena sei mesi prima della Brexit. Bruxelles, però, ora punta i piedi. Secondo il Daily Telegraph (euroscettico), il capo dei negoziatori della Ue, Michel Barnier, avrebbe sostenuto durante un incontro con gli ambasciatori europei che la prossima fase dei negoziati, prevista per ottobre, potrebbe slittare di due mesi a causa del rifiuto britannico di impegnarsi a pagare il «conto del divorzio». L’Unione vuole risposte chiare sull’aspetto economico-finanziario, la protezione dei diritti dei cittadini europei e il confine fra le due Irlande.