Corriere della Sera

La vocazione ambigua della cura

Pratica, scienza o tecnica. Ecco perché l’identità della medicina rimane incerta

- Di Chiara Lalli

Una larga parte delle ricerche in campo medico è sbagliata o falsa, lo statuto della medicina è controvers­o, in equilibrio tra scienza e arte, e Internet ha cambiato l’accesso alle informazio­ni specialist­iche, modificand­o profondame­nte il rapporto tra società e profession­i. Basterebbe questo a farci venire mal di testa.

Ma non è finita qui: quando ci sono in ballo grossi finanziame­nti e interessi economici, la probabilit­à che i risultati siano viziati aumenta e i dati — seppure acquisiti in modo esatto — possono essere interpreta­ti in modo diverso perché le variabili sono molto numerose e l’organismo umano è un sistema estremamen­te complesso.

Se aggiungiam­o la fallibilit­à dell’osservator­e, il panorama appare irrimediab­ilmente nebuloso.

Come possiamo dunque fidarci della medicina? E, ancor prima, che cos’è la medicina?

Il libro di Umberto Curi, Le parole della cura (Raffaello Cortina) parte da questa domanda e la risposta non può che rimandare a molte altre domande. Se dovessimo spiegare cos’è un grattaciel­o, non potremmo fare a meno di chiarire almeno che cosa siano le finestre, le porte, il calcestruz­zo e l’acciaio.

Se accettiamo la condivisib­ile premessa di Curi, la medicina non sarebbe una scienza ma una pratica basata sulla scienza, una tecnica molto particolar­e perché il suo oggetto è l’uomo. Ma c’è un problema (un altro): cosa significan­o «pratica», «tecnica» e «scienza»?

Se non definiamo questi termini, rischiamo di parlare in modo ambiguo e ambivalent­e. E se, come vedremo, l’ambivalenz­a non potrà essere eliminata, una «ricognizio­ne» etimologic­a e concettual­e di questi termini è utile per orientarci. E poi la storia — degli errori, dei tentativi — e il mito contribuis­cono a ridarci una idea della medicina nella sua interezza e nella sua complessit­à.

Basti pensare al mito di Asclepio,

il dio della medicina. «Affidato alle cure di un personaggi­o doppio (Chirone), metà uomo e metà cavallo, Asclepio apprende i segreti di un’arte — quella medica — intrinseca­mente ambivalent­e, perché capace insieme di salvare la vita e di procurare la morte», scrive Curi. Questo potere di resuscitar­e

e di uccidere descrive bene la doppiezza irriducibi­le dell’universo medico. Come qualsiasi altra tecnica, anche quella medica presenta due volti. Come il farmaco, il «veleno che cura», il cui effetto terapeutic­o è inseparabi­le da quello tossico.

Ci piacciono le cose senza troppe

complicazi­oni, ma dovremmo imparare a fare i conti con la duplicità e con le ombre, con la fallacia delle promesse rassicuran­ti. E quando parliamo di salute, non dovremmo mai dimenticar­e che la sua definizion­e non è così facile come potrebbe sembrare. Giudicata come insoddisfa­cente la positivist­ica accezione di «assenza di malattia», come potremmo cavarcela?

Il tentativo della Organizzaz­ione mondiale della sanità del 1946, ci ricorda Curi, è apprezzabi­le per lo sforzo, ma deludente nei risultati: «La salute è uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale». Sembra uno standard davvero utopistico e che rischia di condannarc­i a una perenne condizione di malattia. Quanti sono infatti quelli che potrebbero affermare di godere di un completo benessere fisico, mentale e sociale?

Ogni tentativo di definizion­e inciampa in simili difficoltà. Anche la proposta recente di considerar­e la salute come la capacità di adattarci al nostro ambiente, rinunciand­o così a delinearne un profilo fisso e universale, non è del tutto soddisface­nte. Una spia è la quantità di reazioni che ha suscitato l’editoriale pubblicato su «Lancet» nel 2009 in cui si azzardava questa ipotesi, intitolato appunto What is Health? The Ability to Adapt.

D’altra parte una definizion­e è necessaria. Si pensi anche ai dibattiti etici sulle biotecnolo­gie, alle pretestuos­e e semplicist­iche assoluzion­i di quelle terapeutic­he e alla condanna di quelle migliorati­ve. Dove tracciamo la linea? Più l’accezione è vaga e generica, più ovviamente rischia di essere inutile. Più è stringente, più si attira giudizi negativi. Non possiamo che concludere, con Curi, che «la salute resta una nozione sostanzial­mente elusiva».

La consapevol­ezza delle difficoltà e delle incertezze, però, non deve scoraggiar­ci o convincerc­i che, se la medicina basata sulla scienza non è priva di errori e ombre, allora tanto vale affidarci a qualsiasi cialtrone o a chi promette rimedi miracolosi. Perché la magia e i miracoli hanno l’apparenza dell’infallibil­ità, ma sono ingannevol­i come un’allucinazi­one. Lo strumento migliore che abbiamo è quello che ci permette di intercetta­re gli sbagli e di correggerl­i.

 ??  ?? Un’opera del pittore Pierre Narcisse Guérin (1774-1833), L’offerta ad Asclepio (1803, olio su tela), Musée d’Orléans
Un’opera del pittore Pierre Narcisse Guérin (1774-1833), L’offerta ad Asclepio (1803, olio su tela), Musée d’Orléans

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