Il trionfo nei 200 è nato dalla sconfitta di 12 mesi fa a Rio: determinazione, lavoro e allenamenti in quota Così è tornata Fede
L’allenatore Giunta: «In un albergo in stile Shining la sua forza mentale l’ha aiutata a prepararsi»
Un albergo stile Shining, l’isolamento dal pettegolezzo, il supporto di una psicologa, il ricordo nitido del flop di Rio come carburante extra per la rivincita, il cambiamento dei metodi di allenamento. Tutto questo, mescolato al talento che c’è sempre stato ma che da solo non è mai bastato a nessuno, ha determinato il più grande capolavoro di Federica Pellegrini. E se lei adesso può raccontare di essere «finalmente spensierata, quello che volevo fare l’ho fatto e quello che verrà d’ora in poi andrà bene comunque: ieri ho faticato ad addormentarmi, ora voglio solo godermela», è vero che prima, nei dodici mesi dall’Olimpiade a oggi, le paure e le zavorre di cui liberarsi sono state tante.
«Solo noi due sappiamo quanto è stato difficile reagire dopo Rio», spiegava ieri Matteo Giunta, 35enne allenatore prodige, dal 2014 al fianco della campionessa. Qualcosa però lo possiamo raccontare. «Il 2016 era stata un’ottima stagione, ma i Giochi avevano creato troppe aspettative — ricorda Giunta —. Così stavolta abbiamo deciso di stare più tranquilli. L’oro ai Mondiali in vasca corta in inverno ci ha dato una bella spinta; da lì abbiamo lavorato senza esagerare, inserendo più dorso. Poi nei due mesi finali è scattata la scintilla decisiva che mi ha fatto dire: forse possiamo fare l’impossibile...».
Ha funzionato poi il periodo in altura tra Livigno e la Sierra Nevada dal 1° al 17 luglio: Federica non lo aveva mai fatto a ridosso della gara e in questo senso l’operazione è stato un piccolo azzardo. L’alta quota infatti genera benefici immediati di qualche giorno, variabili a seconda dell’atleta, seguiti però da un forte rimbalzo negativo nelle prestazioni. Perciò di solito viene usato nel pieno della preparazione. Ma i calcoli della ditta Pellegrini & Alta quota Il Centro de Alto Rendimiento di Monachil, in Sierra Nevada, dove Federica Pellegrini si è preparata con l’aiuto del suo tecnico Matteo Giunta: l’allenamento in altura è stata una scommessa, si è rivelata l’arma vincente per la conquista dell’oro mondiale a quasi 29 anni Giunta sono stati giusti e la freschezza con cui Fede ha sorpassato le avversarie nell’ultima vasca lo ha dimostrato: il suo serbatoio era due volte più pieno.
Ma l’eremitaggio ai 2.300 metri del Centro de Alto Rendimiento di Monachil è stato anche un efficace training spirituale. «Il posto era tipo Shining, ma se sei forte mentalmente quello è l’ambiente ideale per prepararsi», osserva Giunta. Da lì infatti non si scappa, prigionieri di una routine implacabile fatta solo di pane, nuoto, sonno. Due settimane «Ai Giochi c’erano troppe aspettative, stavolta abbiamo scelto di stare tranquilli» L’aiuto della psicologa, la fuga dal gossip «e dai pensieri di stirare o di fare la spesa» senza alcuna distrazione; neanche, come disse una volta Federica, «andare a fare la spesa o stirarsi i vestiti: anche quelli sono pensieri in più...». L’importanza della testa, insomma: si torna sempre lì. E per questo è stato utile anche il supporto della psicologa Bruna Rossi, che collabora con Fede dal 2015. Ex atleta di nuoto sincronizzato e olimpica di tuffi, poi psicologa del mitico Settebello di Rudic, dell’Inter di Mancini e poi di nuovo del Settebello attuale, la Rossi secondo Giunta «è stata la valvola di sfogo che ci ha aiutato a stare tutti più tranquilli e sereni». Sullo sfondo, naturalmente, c’era anche la crisi con Filippo Magnini e relativi pettegolezzi. Il racconto di Giunta, che in questo scenario entra spesso come presunto nuo-
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