«Vivere in strada da clochard non può essere reato»
La povertà non può essere un reato. Vivere in strada vestito di stracci in una baracca di cartone non può diventare il motivo di una condanna penale. E tutto questo vale anche se c’è un’ordinanza del sindaco che vieta bivacchi o accampamenti di fortuna, anticamere di «gravi alterazione del decoro urbano» o di «intralcio alla pubblica viabilità». I giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno seguito questi principi per annullare la condanna al pagamento di mille euro contro un clochard di Palermo che, appunto, era incappato in una ordinanza antibivacco del Comune. Era il 2010 e il senzatetto viveva per strada con i suoi cani, nella sua baracca improvvisata, con pezzi di legno come pavimento e sacchetti di plastica come armadi. Dice ora la Suprema Corte che quell’uomo, già così umiliato dalla vita, con i giorni segnati da una situazione individuale di estrema povertà, non doveva essere portato davanti al giudice penale in nome dell’interesse pubblico a tenere le strade in ordine e i marciapiedi puliti. «L’ordinanza del sindaco — dice la sentenza che annulla la condanna perché “il fatto non sussiste” — è rivolta a una pluralità di soggetti», senza riferimento a una situazione precisa, e poi vale in funzione preventiva, non punitiva. In sostanza serve a prevenire che si creino le situazioni non volute ma l’inosservanza non può essere motivo di sanzione penale per i casi (come fu quello del clochard) già esistenti. E la povertà dell’homeless di Palermo era già lì da tempo, sotto gli occhi di tutti.