Corriere della Sera

Lascia il calcio per salvare il nipotino. Diventa l’eroe dei tifosi

Lulo, attaccante argentino in Serie C, gli dona una parte di fegato. «È stato il gol più bello della mia vita»

- Alessandro Fulloni

L’addio al calcio per salvare il nipotino di nove mesi che rischiava di morire. Chissà, forse Alejandro Benìtez non sarebbe mai diventato un «delantero» tra i più celebri, un attaccante della Primera División, la «seria A» argentina. Trent’anni, l’aria guascona, più grinta che tecnica: e più rimpianti che sogni nel corso di una vita trascorsa solo sui campi minori del «torneo C».

L’altro giorno però i suoi tifosi, quelli del Central Larroque, squadra nella quale ha sempre giocato segnando gol a grappoli, gli hanno riservato un applauso lungo, intenso, indimentic­abile. Uno di quelli che fanno venire i brividi e che forse nemmeno i più amati dell’albicelest­e hanno mai ricevuto. Nemmeno Kempes, nemmeno Batistuta, nemmeno Crespo o Tevez.

Il fatto è che «Lulo» — lo chiamano tutti così da queste parti nella provincia dell’Entre Rios, non lontano dall’Uruguay dove è nato e cresciuto masticando pane e pallone — ha compiuto qualcosa, un gesto d’altruismo commovente, che con il calcio c’entra poco ma che a seguito del quale, con il calcio e con i suoi sogni da centravant­i, dovrà smettere. Alejandro ha infatti salvato la vita del nipotino, nove mesi, il figlio della sorella, accettando di sottoporsi a un trapianto di fegato. Quando a Milo, questo il nome del piccino, è stata diagnostic­ata una ostruzione biliare che nessuna terapia riusciva a guarire, Alejandro non ha avuto nessun dubbi nel sottoporsi alla delicata operazione: diventando donatore. Decisione presa in un istante, come quando l’istinto ti suggerisce il gesto unico e impossibil­e, la rabona, la rovesciata, il tacco. Figurarsi l’Argentina, dove adesso i giornali lo chiamano «héroe» e «gran ìdolo». Ma «Lulo» si schermisce: «Per me la prima cosa era la salvezza di mio nipote e non m’importava nient’altro che mio nipote» ha raccontato spiegando che «siamo tre fratelli e formiamo una famiglia molto unita». L’opzione del trapianto era la sola che potesse salvare Milo: i medici hanno dovuto escludere i genitori dalla lista dei donatori. Il papà Willy perché il suo fegato era incompatib­ile e la mamma Natalia perché aveva già subìto un intervento al cuore.

Con un pezzo di fegato in meno «Lulo» — è stato l’altolà imposto dai medici — non potrà più giocare: troppo pericoloso. Alejandro (che ha pianto a dirotto per quel battimani interminab­ile allo stadio dopo l’operazione) scrolla le spalle: «Quando ho visto Milo sorridere dopo l’operazione è stato il giorno più bello della mia vita: sì, più bello che segnare il gol più importante».

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Dopo l’intervento Alejandro «Lulo» Benìtez (Facebook)

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