La vicenda
L’8 maggio la Dda milanese arresta presunti referenti del clan catanese Laudani e imprenditori ritenuti contigui
Tra essi anche i titolari della vigilanza privata del Tribunale e dei negozi Lidl
Uno — Franco D’Alfonso, ex assessore comunale al Commercio nella giunta Pisapia e ora consigliere comunale delegato dal sindaco Sala al Bilancio della «Città Metropolitana» (l’ex Provincia di Milano) — è stato indagato, e poi stralciato in via di archiviazione, per aver chiesto voti alle prossime regionali a un imprenditore, interessato a un bar all’Idroscalo di Milano e presentatogli da un ex sindacalista che i pm accusano di concorso in associazione a delinquere con imprenditori contigui al clan catanese Laudani. L’altro, Antonio Barbato comandante della Polizia Municipale di Milano, è stato invece interrogato come teste sull’aver accettato dal medesimo intermediario l’idea (poi non attuata) che il vigilantes di una società privata, interessata a gare del Comune, gli facesse il favore di pedinare un vigile-sindacalista suo «nemico».
Queste due storie, sinora mai trapelate dalle indagini dei pm Boccassini e Storari, compaiono ieri solo per l’obbligato deposito degli atti al processo immediato ordinato dal gip Giulio Fanales agli arrestati del 15 maggio (tra cui i titolari della Securpolice vigilante il Tribunale di Milano e alcuni supermercati Lidl).
Un ex sindacalista Uil che per i pm procurava contatti politici ai mafiosi, Domenico Palmieri, il 7 giugno spiega ai pm un’intercettazione ambientale del 3 aprile con D’Alfonso, al quale aveva presentato l’imprenditore Arcangelo Giamundo interessato a un bar all’Idroscalo: