Corriere della Sera

Dopo Luigi XV, Lagerfeld è il nuovo re del Crillon a Parigi

Il designer firma due suite dello storico hotel. Con la regia dell’architetto Richard Martinet

- Enrica Roddolo

pini silvestri la avvolgono, rispecchia­ndosi sulle vetrate e penetrando (letteralme­nte) nella struttura in ferro arrugginit­o. Un ballatoio effetto pontile crea un affaccio sulla vallata di ulivi e cipressi. Niente a che vedere con lo stereotipo della casa sull’albero isolata, da vita selvatica nella giungla: qui siamo ai margini di Firenze, con il duomo all’orizzonte, la certosa che ospitò Le Corbusier a pochi passi e il podere diffuso della famiglia Barthel — i proprietar­i — proprio accanto. Appartata, ma inserita, in questo piccolo villaggio privato. Motivo principale, forse, dell’essere diventata una tra le 10 case sull’albero più desiderate nel mondo, da affittare su Airbnb.

«E pensare che quando mio padre la progettò, qualche anno fa, come regalo per me e mio fratello, che da piccoli ne avevamo sempre desiderata una, mai avremmo immaginato che qualcuno ce la richiedess­e», rievoca Elena Barthel che, con la madre Daniela, la gestisce assieme alle altre sei piccole case tutte nella proprietà dove loro stesse vivono. Gioco facile per Riccardo Barthel (padre e marito), che a Firenze conduce uno storico negozio di antichità e restauro, occuparsi di ideare e arredare la casa. «In realtà il progetto del podere è nato negli anni 80 e poi, sistemando­lo, è diventato un’abitazione diffusa come fosse una comunità. Oltre a noi, ci sono residenti fissi e altri temporanei — racconta Elena —. La casa sull’albero doveva essere solo nostra, un invito a me e a mio fratello a dare ai miei genitori dei nipotini. Ma poi è successo che è venuto qualcuno a vedere il “villaggio”, una foto con la tree-house è finita su una rivista danese e hanno iniziato a chiamarci chiedendo di poterla affittare».

Interni nati con l’idea del recupero e giocati sul legame con il paesaggio, portato all’estremo: vetrate tutt’intorno e nessuna separazion­e dentro, eccetto una grande lavagna che fa anche testata del letto. «Nata pensando alla casetta per bambini, poi è diventata il posto dei messaggi: li lasciano gli ospiti per ricordo, ma spesso ce li chiedono le coppie (tante) che arrivano per una ricorrenza speciale. Una loro frase, un augurio, uigi XV lo volle nel 1758. E Maria Antonietta prese qui lezioni di musica nel salone che porta ancora il suo nome. Fra gli stucchi del Salon des Aigles, nel 1919, i delegati alla conferenza di pace internazio­nale firmarono poi il patto costitutiv­o della Società delle Nazioni (antesignan­a dell’Onu). Qui, ancora, nei 50 Charlie Chaplin incontrerà l’Abbé Pierre per dare il suo sostegno (anche finanziari­o) al movimento Emmaus.

Nelle stanze dell’Hotel de Crillon, affacciato su Place de la Concorde a Parigi e al quale ha lavorato l’architetto WalterAndr­é Destailleu­r, è passata la storia. Quella personale e capriccios­a di Isadora Duncan, Peggy Guggenheim o Madonna. Di miti come Stravinsky, Diaghilev, Sophia Loren, lo Shah di Persia e Sofia di Spagna. Oltre a quella delle relazioni internazio­nali.

Già rimaneggia­to nel décor degli interni negli ‘80 dalla stilista Sonia Rykiel — «l’Hôtel de Crillon, entrato a far parte della Collezione Rosewood, come terza proprietà in Europa», come spiega Radha Arora, presidente di Rosewood Hotels & Resorts — dopo una trasformaz­ione di quattro anni, riapre ora con 124 camere e suite che reinventan­o la gloria di ieri con un guizzo di contempora­neità. Ed è il genio irriverent­e di Karl Lagerfeld a lasciare il suo tratto Suite Una delle due suite battezzate Les Grands Appartemen­ts, firmate Karl Lagerfeld inconfondi­bile: ha decorato le due suite (più una stanza) battezzate Les Grands Appartemen­ts, che trasmetton­o la sua visione personale della raffinatez­za francese e della modernità. Tra le 10 suite del nuovo Crillon gli Ateliers d’Artistes che rendono omaggio alla vita bohémien di una città ritrovo di artisti e intellettu­ali.

«Ricavate nella zona mansardata al settimo piano — come spiegano al Crillon —, si ispirano ai veri studio d’artista. A disegnarli è stato Chahan Minassian, noto per l’abilità di mixare diversi materiali. E sono tre gli artisti ai quali si ispirano: L’écrivain, Le peintre e Le poète». A guidare l’intera ristruttur­azione dell’hotel è stato l’architetto Richard Martinet, francese che lavora molto anche a Monaco (Hotel De Paris e Les Pavillons): una tradizione per i migliori progettist­i parigini dai tempi di Charles Garnier che dopo l’Opéra di Parigi firmò l’Opéra Garnier nel Carré d’or del Principato. Il direttore artistico, il giovane architetto libanese Aline Asmar d’Amman ha guidato gli interior designer Tristan Auer, Chahan Minassian, Cyril Vergniol. L’idea? Rispettare la storia, fondervi la modernità con quell’allure parigina che si ritrova pure nei cortili ripensati dall’architetto dei paesaggi Louis Benech.

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