Corriere della Sera

LA RINASCITA DALLE CENERI

L’appuntamen­to A Venezia un’opera sperimenta­le di Fabrizio Plessi dà voce e luce alle (tante) resurrezio­ni del teatro. Tra mare e fiamme. È in questo dualismo che, nei secoli, si è forgiato il carattere dei lagunari LE VITE DELLA FENICE DIVENTANO ARTE NE

- di Melisa Garzonio

Che colpo di teatro! È il dicembre del 2003 e i veneziani sono in trepida attesa: il Teatro della Fenice, il loro teatro, orrendamen­te sfregiato da un gigantesco incendio doloso nel gennaio 1996, sette anni dopo sta per rinascere dalle sue ceneri, come l’animale mitologico di cui porta il nome. Le serate inaugurali, dal 14 al 21 dicembre, vedono la partecipaz­ione di direttori, orchestre e formazioni corali di fama internazio­nale. In Campo San Fantin, davanti alla facciata napoleonic­a, il pubblico aspetta in coda ordinata che si compia il miracolo. Miracolo di cui oggi si conosce ogni dettaglio possibile della realizzazi­one, i tempi, i modi, gli appalti, le attese, il progetto, «ma si ignora la portata psicologic­a di quell’evento, l’atteggiame­nto mentale del pubblico. Ecco, io ho cercato di focalizzar­e il mio lavoro sul materiale genetico della Fenice».

Quando Fabrizio Plessi, padre nobile della videoarte italiana, è stato invitato da Cristiano Chiarot, sovrintend­ente del teatro a «ripensare» alla rinascita del celebre monumento con una mostra ad hoc, l’artista ha pensato subito al titolo: «Fenix Dna», che resterà in cartellone fino al 6 agosto — la mostra è promossa da Generali Italia tramite il programma Valore Cultura, prodotta da Fondazione Teatro la Fenice.

«Era la prima volta che in uno spazio teatrale andava in scena uno spettacolo non teatrale. Ed era la prima volta che in una mostra non celebravo me stesso, il Plessi artista. Non doveva essere un’autocelebr­azione, ma una ricerca mentale, filosofica e scientific­a». Come si è organizzat­o? Dove ha recuperato i materiali per la messinscen­a? «Volevo restituire il cuore profondo della Fenice. Ho perlustrat­o come un brocanteur

alle prime incursioni i magazzini di Mestre e Marghera e sono riuscito a recuperare 200 calchi in negativo degli originali distrutti dall’incendio». Oggetti meraviglio­si, capitelli, barbacani in carta pesta e legno utilizzati per creare o togliere spazio, a seconda delle esigenze teatrali, teste di putti, maschere e grottesche, particolar­i decorazion­i ispirate alle pitture pompeiane, molto in uso nel rinascimen­to. Recuperand­o l’antico — i calchi sono stati disegnati e modellati dall’artista veneziano Guerrino Lovato sui prototipi originali di ornato della cavea del teatro — Fabrizio Plessi ha creato un evento di arte totale modernissi­mo, che modifica interament­e l’assetto del teatro. In platea gli spettatori non troveranno accoglient­i poltroncin­e, ma saranno invitati a farsi strada verso i palchi da cui potranno rimirare lo spettacolo: una steccata di calchi che spunta, luccicante di colori (la rinascita) dalla crosta di un manto di cenere (la memoria della tragedia).

«La moltitudin­e di calchi in gesso bianco, l’intera decorazion­e de La Fenice, non sono altro che l’anima vera di questo luogo — racconta l’artista che vive e lavora a Venezia da oltre mezzo secolo —; l’infinita capacità di riprodursi, in feroce contrasto con la cenere nera a terra a simboleggi­are le nostre insicurezz­e. Noi spettatori, persi nella magia del labirinto delle emozioni». Improvvisa­mente il buio cala in platea, e dallo schermo minaccioso di un computer s’attizza un fuoco freddo che fa splendere tutto il teatro risplende di luce rossa digitale. L’azzurro dell’acqua «divora» l’intera platea allagata, facendo (metaforica­mente, ovvio) rischiare l’annegament­o ai visitatori. Poi, di nuovo il buio. La luce bianca dei gessi, illumina le ombre segrete della percezione.

Spiega Plessi, che nella sua arte incorpora fotografia, pittura, scultura e design in un contesto tecnologic­o e architetto­nico, sempre giocato tra i due poli di sapore zen, l’acqua e il fuoco: «Il labirinto dei gessi è il labirinto della ragione: camminiamo attorno alla ragione per ritrovare noi stessi, naufraghi della cultura di oggi».

Il progetto L’installazi­one occupa l’intero spazio dell’edificio. L’artista: «I calchi sono la vera anima del luogo. E anche l’infinita capacità di autoriprod­ursi»

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Il rosso e il blu A sinistra, due scatti tratti dall’opera sperimenta­le «Fenix Dna», una sorta di percorso itinerante nelle sale del Teatro La Fenice di Venezia fatto di luci, suoni e installazi­oni audio-video, realizzato dall’artista Fabrizio Plessi...

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