Sei fuori! Dai giorni della campagna elettorale a quelli del governo tra faide e sospetti, il presidente «licenziatore seriale» gestisce il team come un reality show
appunto. Nella sua autobiografia L’arte di fare affari (1987), Donald Trump scrive che la cosa che conta di più è «la lealtà». Quella degli altri, però, non la sua. «The Donald» è diventato popolare negli Stati Uniti con lo show The Apprentice. «You’re fired», «sei licenziato» diceva, con pollice e indice a forma di pistola, ai concorrenti in gara per una posizione di lavoro. Nella realtà politica, però, Trump non è un giudice, ma una parte costantemente in causa.
Se deve proteggersi da un attacco non ha esitazioni e mezze misure. Il 20 giugno 2016 con un colloquio di pochi minuti congedò Corey Lewandowski, il capo della sua campagna elettorale. Lobbista di Washington, originario del Massachusetts, Lewandowski aveva puntato sul costruttore newyorkese, quando nessuno gli dava credito. Men che meno il partito repubblicano al completo. Corey vegliava sul suo leader con modi spicci, rozzi. Fu sommerso dalle polemiche quando in un comizio strattonò una giornalista. Trump, in quel caso consigliato dalla figlia Ivanka, lo convocò all’alba, lo «ringraziò» e gli tolse il posto.
Lewandowski si era anche scontrato con Paul Manafort, 67 anni, avvocato dai mille maneggi, tra i quali quello insidioso con Viktor Yanukovich, il presidente ucraino filo russo cacciato dalla rivolta popolare di Kiev nel 2014. Trump lo aveva ingaggiato nel marzo del 2016, ma lo scaricò il 19 agosto, forzandolo alle dimissioni. Da settimane il New York Times stava pubblicando articoli sui legami tra Manafort e Yanukovich.
Di segno diverso la vicenda di Chris Christie che illumina un altro aspetto del tempera- Sally Yates La procuratrice generale facente funzioni è stata rimossa dal presidente il 30 gennaio per essersi rifiutata di difendere il «Muslim Ban» Paul Manafort Il responsabile della campagna fu convinto alle dimissioni nell’agosto scorso dopo essere finito nel mirino per le sue consulenze all’estero mento trumpiano. Il governatore del New Jersey si era candidato alle primarie e la cosa più gentile che diceva di Trump nei primi comizi in Iowa era che fosse «un clown». In realtà pare che tra i due ci fosse un patto: Donald non pensava sarebbe arrivato fino in fondo ed era pronto ad appoggiare Chris. Accadde il contrario e l’ambizioso governatore cominciò a sgomitare per conquistare un Michael Flynn Il consigliere per la Sicurezza nazionale si è licenziato a febbraio per aver dato «informazioni incomplete» sui suoi contatti russi. Trump dice che l’avrebbe licenziato
posto nella corte di Manhattan. Prima delle elezioni Trump gli affidò la guida del «comitato di transizione», pensando fosse un incarico puramente decorativo, visto che nemmeno lui credeva di poter battere Hillary Clinton. Ma quando vince le elezioni e si deve fare sul serio, Trump liquida in modo fulmineo Christie, sostenendo di essere preoccupato per gli scandali in cui era coinvolto il governatore, e affida il «transition team» al vice presidente Mike Pence.
Ed eccoci alla Casa Bianca. La serie dei licenziamenti continua con gli stessi schemi. Il 30 gennaio via Sally Yates, ministro ad interim della Giustizia, nominata con l’amministrazione di Barack Obama. Yates si era rifiutata di sostenere la legittimità del bando provvisorio contro i viaggiatori provenienti da sette Paesi musulmani.
Il 13 febbraio 2017 arrivano
sulla scrivania dello Studio Ovale le dimissioni di Michael Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale. Un gesto preteso da Pence e accettato da Trump. Flynn è la prima vittima politica del Russiagate, l’inchiesta dell’Fbi sulle interferenze di Mosca nella campagna elettorale e sui rapporti tra lo staff trumpiano e i funzionari del Cremlino. Anche Flynn, generale in pensione, è un fedelissimo della prima ora. Ma non basta. Il 9 maggio tocca al direttore dell’Fbi, James Comey, che invece si era rifiutato di garantire «lealtà» al presidente. Le inchieste sui contatti con il Cremlino coinvolgono il circolo più ristretto di Trump, il genero consigliere Jared Kushner, il primogenito Donald Jr. Lo Studio Ovale si immerge nei sospetti, nelle faide interne. Il 21 luglio se ne va il portavoce Sean Spicer; l’altro ieri 28 luglio, il suo sponsor e referente, il capo dello staff, Reince Priebus.